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L’ecommerce del futuro guarda TikTok

L’ecommerce del futuro guarda TikTok

Il social commerce funziona per Retail e B2B

Strategie e Dati che lo Dimostrano

TikTok non è più solo l’app dei balletti virali: è emerso come nuovo attore dominante nell’e-commerce digitale. In pochi anni, la piattaforma ha integrato funzionalità di shopping in-app, live streaming di vendita e un algoritmo capace di trasformare contenuti amatoriali in trend globali di consumo.

Il social commerce stenta ad affermarsi in Italia come nel resto dell’Europa, ma in Asia, WeChat, RedNote e TikTok stanno esplodendo, sia nel retail che nel B2B. Il ban americano di TikTok è durato troppo poco per riuscire ridurre il divario che Amazon e Meta hanno nel conversational commerce.

E’ attesa per il 5 aprile la decisione sulla cessione di TikTok.
In ballo ci sono 12 miliardi di spese pubblicitarie USA.

Da quando TikTok ha lanciato la funzione TikTok Shop, che consente agli utenti di acquistare prodotti direttamente dai video grazie all’AI la crescita di TikTok sembra inarrestabile. Il valore delle transazioni ha raggiunto 17,5 miliardi di dollari nel 2024 solo negli USA – ha fatto un balzo di 10 volte rispetto all’anno precedente – se pensate che globalmente fatturava circa 16,1 nel 2023​, i dati del 2024 saranno sorprendenti. Le previsioni per il 2025 sono che le entrate pubblicitarie raggiungerano i 32 miliardi di dollari, con una crescità di +24,5%.

Nel 2023 il Gross Merchandise Value (GMV), ossia il totale vendite transitate sulla piattaforma di Douyin (la versione originale cinese di TikTok) ha raggiunto 2,7 trilioni di RMB, pari a 374 miliardi di dollari. Avete letto bene: centinaia di miliardi di dollari di beni venduti via TikTok in un solo anno in Cina. L’obiettivoè spingersi oltre i 4 trilioni di RMB (oltre 540 miliardi $), numeri ormai comparabili al GMV di Alibaba (988 miliardi $).

Importante notare che la base utenti è “invecchiata”: la fascia 25-34 anni è oggi la più numerosa su TikTok (circa il 35% degli utenti), segno che non è più solo territorio di adolescenti. Questo è un dato cruciale per i brand ecommerce B2B, perché significa che giovani professionisti e decision maker rientrano sempre più tra gli spettatori di TikTok. Un altro dato impressionante è il tempo di utilizzo: gli utenti trascorrono in media quasi un’ora al giorno (47 minuti) sull’app, il che la rende la piattaforma con il più alto tasso di coinvolgimento quotidiano. Negli USA si arriva a 78 minuti.

Il 51% dei buyer cerca video su YouTube prima di effettuare l’acquisto, per i marketer, questo si traduce in più occasioni per veicolare messaggi e, potenzialmente, convertire utenti in clienti.

Il “modello cinese” di TikTok è quindi già una realtà consolidata: un ecosistema dove intrattenimento, influencer e shopping convivono in un’unica esperienza fluida, al punto che per i consumatori cinesi comprare direttamente dentro l’app è normale quanto navigare su un sito e-commerce.

In Europa e Italia il modello è ancora agli inizi, con sfide significative da superare ma anche enormi opportunità. TikTok sta tentando di replicare il successo cinese lanciando gradualmente TikTok Shop anche in Occidente: dopo il test nel Regno Unito, è in espansione in mercati come Germania, Francia e Italia.

L’idea è creare anche qui un’esperienza di acquisto end-to-end senza uscire dall’app. In Cina il live shopping è un fenomeno culturale di massa, mentre in Italia, nonostante le TV siano affollate di televendite c’è diffidenza nel comprare prodotti durante una diretta social o attraverso video brevi.

I giovanissimi di oggi sono abituati a comprare quasi esclusivamente scoprendo prodotti dai video,TikTok & Co. rendono l’e-commerce più scroll che search.

I social ed Amazon sono l’estensione della TV, TikTok fa leva su qualcosa che Amazon non possiederà probabilmente mai: un coinvolgimento emotivo e virale del pubblico.

L’83% degli utenti di TikTok dichiara che i contenuti visti sulla piattaforma influenzano le proprie decisioni d’acquisto​ e lo sanno bene i brand che trasforma il feed in un nuovo terreno di caccia. Amazon dopo Spark ha introdotto feed di shopping social simili a TikTok (Amazon Inspire) e investito in live streaming sul proprio sito​.

TikTok e Amazon rappresenta lo scontro tra due filosofie: shopping come intrattenimento scoperto per caso scorrendo video, contro shopping come ricerca intenzionale su un catalogo sterminato.

Il successo del social commerce in Cina: dati e numeri da fonti istituzionali

Per capire il fenomeno social commerce, basta guardare la Cina, dove questa fusione tra social e shopping è nata, maturata e sostenuta anche a livello governativo ha numeri (istituzionali) impressionanti: l’84% dei consumatori cinesi ha fatto acquisti tramite piattaforme social nel 2022​ (pari a circa 880 milioni di persone)​.

In altre parole, fare shopping sui social è la norma per la stragrande maggioranza della popolazione online cinese, un fenomeno di massa senza eguali altrove.

Le televendite in diretta (live commerce), come quelle che Wanna Marchi faceva 20 anni fa in Italia, hanno trasformato le abitudini dei consumatori cinesi. I dati pubblici indicano che il live commerce è passato da volumi quasi trascurabili a fine anni 2010 a costituire circa 1/3 di tutto l’e-commerce cinese nel 2023.

Si tratta di un livello di penetrazione impensabile in Occidente, la Cina è la dimostrazione concreta di cosa significhi social commerce su larga scala: influencer celebri che vendono migliaia di pezzi in pochi secondi durante le dirette, piattaforme (come WeChat, Xiaohongshu, Taobao Live, Kuaishou) in cui l’esperienza social e quella d’acquisto sono indistinguibili, e community buying (acquisti di gruppo attraverso app social) che sfruttano la pressione sociale per far lievitare le vendite.

TikTok è sia catalizzatore sia beneficiario di questo boom. L’hashtag virale #TikTokMadeMeBuyIt (“TikTok me l’ha fatto comprare”) ha superato 40 miliardi di visualizzazioni, a riprova di quanti utenti scoprano prodotti e siano spinti all’acquisto dalla piattaforma.

Il governo cinese ha favorito questo ecosistema con zone franche per l’e-commerce e politiche pro-innovazione, per le aziende occidentali, questi dati sono sia affascinanti che inquietanti: evidenziano sia l’enorme potenziale da cogliere che la distanza da colmare.

TikTok può replicare il modello cinese in Europa?

Le opportunità certamente non mancano. TikTok conta ormai oltre 125 milioni di utenti attivi mensili in Europa (su oltre 1 miliardo a livello globale), una base ampia che include moltissimi giovani consumatori.

TikTok conta oltre 125 milioni di utenti attivi mensili in Europa

La concorrenza nel social commerce è, per ora, limitata: Facebook e Instagram hanno provato a spingere lo shopping in-app con risultati tiepidi, mentre piattaforme cinesi emergenti (come Shein o Temu) puntano soprattutto sul prezzo più che sull’aspetto social.

TikTok ha dunque spazio per proporsi come l’apripista del vero social commerce in Europa, forte del suo algoritmo di discovery e della popolarità tra Gen Z e Millennial. In termini di mercato, le previsioni indicano che il social commerce europeo crescerà da circa 74 miliardi di dollari nel 2023 a oltre 230 miliardi entro il 2029​, segno che il terreno è fertile per nuovi modelli di vendita social. Chi saprà capitalizzare questa crescita potrebbe conquistare una fetta importante dell’e-commerce di domani.

Tuttavia, esistono notevoli limiti normativi e culturali che potrebbero frenare la “cinesizzazione” del modello in Europa. Innanzitutto, i consumatori europei hanno abitudini diverse: solo il 26% degli utenti delle piattaforme in Europa utilizza il social commerce, la percentuale più bassa a livello globale​, e appena il 13% degli europei dichiara di aver mai comprato o venduto qualcosa via social media​.

Gli europei usano i social principalmente per comunicare e informarsi, non per fare acquisti, e mostrano minor interesse per format come live shopping o acquisti dagli influencer rispetto alla media mondiale​. Questo “mismatch” culturale significa che TikTok dovrà educare il mercato, non può dare per scontato lo stesso entusiasmo spontaneo visto in Asia.

Non mi soffermo sugli aspetti regolamentari che hanno condotto al ban in USA ed alla sanzione di 348 milioni di Euro in UE per violazioni del GDPR; il contesto normativo implica che TikTok, per espandere il proprio shopping in-app in Europa, dovrà muoversi con cautela e trasparenza: raccolta dati limitata, maggiore moderazione dei contenuti commerciali, adeguamento alle regole sulle recensioni e sui resi dei prodotti. I limiti normativi specifici per l’e-commerce come il diritto di recesso in UE per gli acquisti online e stringenti obblighi di informativa sui prodotti.

TikTok dovrà garantire queste tutele dentro la sua app, altrimenti rischia sanzioni o una perdita di fiducia da parte degli utenti europei più cauti.

In sintesi, replicare il modello cinese in Europa non sarà automatico. Le opportunità per TikTok ci sono – un mercato online enorme ancora relativamente inesplorato dal social commerce, un vuoto di leadership da colmare, l’interesse di brand desiderosi di nuovi canali per i giovani – ma i limiti normativi (DSA, GDPR, leggi consumeristiche) e barriere culturali (minore propensione degli europei allo shopping sui social, forte attaccamento ad Amazon e altri canali tradizionali) rappresentano sfide concrete.

Probabilmente TikTok dovrà adattare il suo approccio: investire in trust & safety, comunicare come protegge i dati (ha già annunciato data center in Europa per localizzare i dati degli utenti​), e forse procedere più gradualmente, puntando inizialmente su categorie merceologiche che meglio si prestano (moda, beauty, low cost) prima di ambire a far concorrenza su tutti i fronti ad Amazon.

L’Europa potrebbe non vedere subito un fenomeno di social commerce totalizzante come in Cina, ma TikTok sta sicuramente gettando le basi per cambiare anche qui il modo in cui scopriamo e acquistiamo prodotti.

TikTok Shop. Alcuni casi di studio europei

TikTok è partita dal Regno Unito, per l’ingresso in Europa e nonostante le cautele iniziali sono già numerosi i case study indipendenti in Europa di brand che hanno sfruttato TikTok Shop con successo.

Nel Regno Unito, stiamo vedendo una crescita costante. Dopo un inizio tentennante nel 2022, nell’ultimo anno i risultati sono migliorati significativamente: il volume di transato su TikTok Shop UK è raddoppiato e oltre 200.000 aziende vi stanno ora partecipando attivamente. Tra queste, molte sono PMI locali e brand indipendenti che trovano su TikTok un canale privilegiato per farsi conoscere dai giovani.

Ad esempio, piccole aziende di moda o artigianato hanno sfruttato challenge virali e partnership con creator per vendere migliaia di prodotti senza un e-commerce tradizionale. Un caso emblematico citato da Reuters è quello di un’influencer britannica nel settore beauty (nickname Nisrin) che, grazie a circa 500 mila follower su TikTok, è riuscita a vendere fino a £10.000 di prodotti in una singola sessione live. Numeri del genere, per una singola persona che fa dirette dalla propria stanza, erano impensabili pochi anni fa e segnalano un cambiamento di paradigma: anche in Europa la gente è disposta ad acquistare in tempo reale ciò che vede consigliare dai creator di cui si fida.

Non solo piccoli business: anche marchi affermati stanno sperimentando. La storica catena britannica Marks & Spencer ha organizzato eventi live su TikTok per promuovere le nuove collezioni, combinando il prestigio del brand con il linguaggio giovane della piattaforma. E la casa editrice Penguin Random House UK ha lanciato sul suo TikTok campagne come #BookTok, riuscendo a spingere bestseller direttamente attraverso consigli di creator (il fenomeno “BookTok” ha fatto impennare le vendite di libri tra i teenager​).

Gymshark è un altro esempio emblematico di brand europeo che ha sfruttato TikTok per vendere online abbigliamento fitness. Partita come startup con budget ridotti in un mercato dominato da giganti come Nike e Adidas, Gymshark ha puntato tutto sui social emergenti per farsi conoscere. La loro strategia su TikTok è stata astuta: collaborare con micro-influencer appassionati di fitness, lanciare challenge virali coinvolgenti (#Gymshark66) e pubblicare contenuti costanti (fino a 40 video al mese). La sfida #Gymshark66 invitava gli utenti a condividere i propri progressi di allenamento in 66 giorni, taggando il brand – un’iniziativa che ha generato milioni di visualizzazioni e una valanga di UGC (User Generated Content). Questo approccio community-driven ha permesso a Gymshark di accumulare rapidamente follower (oggi oltre 5,7 milioni su TikTok) e soprattutto di tradurre l’engagement in vendite. Il risultato? In piena espansione TikTok, il fatturato di Gymshark è balzato del +40% in un anno, raggiungendo 330 milioni di dollari

In pratica, TikTok (insieme ad Instagram) ha trasformato un piccolo e-commerce in un fenomeno globale, dimostrando che creatività e autenticità possono battere budget milionari.

Il caso italiano di Kiko Milano

Passando all’Italia, un case study concreto è offerto da KIKO Milano, noto brand di cosmetica retail, che ha misurato scientificamente l’impatto di TikTok sulle vendite, grazie ad un Marketing Mix Model è riuscuta ad attribuire le performance di vendita ai vari canali, TikTok incluso. I risultati hanno sorpreso anche i più scettici: TikTok rappresentava solo il 6% dell’investimento media di KIKO, ma ha generato l’11,5% delle vendite e-commerce attribuibili al marketing In altri termini, TikTok ha reso quasi il doppio rispetto al budget speso, dimostrando un’efficienza impressionante come canale pubblicitario. Non solo: il 5,7% delle vendite aggiuntive nei negozi fisici (drive-to-store) è stato ricondotto direttamente a campagne TikTok.

Il caso Lidl

Un esempio clamoroso è quello di Lidl: la catena discount tedesca è stato il primo supermercato ad aprire un negozio su TikTok Shop nel Regno Unito, lanciando a febbraio 2025 una vendita flash di confezioni di prodotti ad alto contenuto proteico. Il risultato? Tutti i 3.000 pezzi disponibili sono andati esauriti in appena 18 minuti, L’operazione, accompagnata da un evento live, ha dimostrato che anche un retailer alimentare tradizionale può attivare la fanbase social e creare hype attorno a offerte esclusive sulla piattaforma TikTok. Secondo Kantar, “i retailer stanno già scoprendo che TikTok Shop è un ottimo modo per raggiungere nuovi clienti” e i consumatori europei mostrano un appetito crescente per sperimentare acquisti sul social​. (Fonte: TheGrocer)

Questi esempi mostrano che TikTok Shop e, in generale, il commercio veicolato dai social possono funzionare in Europa in vari settori: dal grocery al beauty, dalla moda all’editoria. La chiave comune di successo sembra essere l’autenticità e l’engagement: le aziende che vincono su TikTok non si limitano a “vendere un prodotto”, ma raccontano una storia, creano un evento o fanno leva su una community. Il pubblico europeo, soprattutto giovane, risponde positivamente quando percepisce contenuti genuini e opportunità esclusive.

Strategie per aziende B2B e B2C per sfruttare TikTok nel 2025

Alla luce di tutto ciò, quali strategie dovrebbero adottare le aziende per cavalcare l’onda di TikTok nel 2025? È importante distinguere tra B2C (business verso consumer finale) e B2B (business verso altre imprese), perché l’approccio ottimale può differire, anche se la piattaforma è la stessa.

Per le aziende B2C, TikTok può diventare un pilastro del marketing e delle vendite, non mi soffermo sulle principale tattiche da utilizzare:

  • Adottare un tono autentico e trend-driven.Ad esempio, mostrando il backstage di produzione di un prodotto o reazioni spontanee del team può rendere il marchio più vicino al pubblico. L’algoritmo For You privilegia i contenuti che generano interazioni rapide, quindi è cruciale catturare l’attenzione nei primi secondi del video con qualcosa di accattivante. Un consiglio è sfruttare suoni e hashtag di tendenza del momento per apparire nei feed pertinenti.
  • Collaborare con influencer e creator locali: L’influencer marketing su TikTok è potentissimo. Creatori anche con follower non enormi ma ben fidelizzati possono spostare le vendite.
  • Sfruttare TikTok Shop e le funzionalità di shopping in-app: Per brand B2C che vendono prodotti di consumo, è consigliabile attivare la vetrina TikTok Shop ove disponibile. Ciò permette di taggare i prodotti nei video e durante le live, creando un percorso d’acquisto immediato per lo user (dal video al carrello in pochi tap);​
  • Investire in inserzioni TikTok e SEO in-app: Formati come gli In-Feed Ads (video sponsorizzati che appaiono nel feed For You) o le Branded Hashtag Challenge possono aiutare a raggiungere audience più vaste. È bene sperimentare con piccole budget per capire cosa risuona.
  • Curare la community e il customer service su TikTok: Non basta postare video virali, occorre anche interagire con gli utenti. Rispondere ai commenti, magari con video-risposta (funzione Q&A), ringraziare pubblicamente i clienti che mostrano i vostri prodotti (magari duettando i loro video) – tutte queste azioni costruiscono una community leale. Alcuni brand hanno aperto account dedicati all’assistenza clienti su TikTok, cavalcando la preferenza dei giovani a comunicare via messaggi brevi e video. Un utente soddisfatto dell’attenzione ricevuta è probabile che torni ad acquistare.

Per le aziende B2B, l’utilizzo di TikTok nel 2025 può sembrare meno immediato, ma in realtà sta emergendo come una frontiera interessante. Ecco alcune strategie specifiche per il B2B:

  • Employer branding e recruiting: TikTok può servire per mostrare il volto umano e innovativo di un’azienda B2B, aiutando ad attirare talenti. Video che mostrano la cultura aziendale, il dietro le quinte di un progetto o i dipendenti in momenti di team building possono migliorare l’immagine dell’azienda presso i giovani professionisti. Un esempio concreto: una società software americana ha riportato di aver ricevuto 7.500 candidature di lavoro grazie a video TikTok mirati in cui presentava in modo divertente i vantaggi di lavorare lì​
  • Educazione e contenuti di valore: I brand B2B possono utilizzare TikTok per condividere pillole di conoscenza, consigli e insight di settore in forma semplificata e accattivante. Ad esempio, una società di cybersecurity potrebbe fare brevi video con tips su come proteggersi dagli attacchi informatici, un’azienda SaaS può creare mini-tutorial su funzionalità utili del proprio software, e così via. Questi contenuti educativi, se presentati con storytelling leggero e magari un tocco di umorismo, possono posizionare l’azienda come thought leader presso un pubblico più ampio. Canva e Adobe hanno un seguitissimo profilo TikTok dove pubblicano trick creativi fatti con Photoshop o Premiere
  • Mostrare casi d’uso e demo in formato breve: Invece di i tradizionali webinar o white paper, un’azienda B2B può mostrare in 60 secondi come il suo prodotto/servizio risolve un problema concreto. Ad esempio, un produttore di macchinari industriali potrebbe fare un TikTok che in modo visuale spiega come si monta un pezzo o quanto tempo si risparmia con la loro soluzione rispetto al metodo tradizionale. Oppure una startup B2B può raccontare in serie di micro-video la propria storia di innovazione, coinvolgendo anche partner e clienti soddisfatti (magari dando loro visibilità come ospiti in video live Q&A). Questo rende più digeribile il valore aggiunto anche di prodotti complessi e crea lead interessati che poi approfondiranno.
  • Sfruttare le nicchie e le community professionali presenti su TikTok: Esistono già hashtag community su TikTok dedicate a temi business (#FinanceTok per la finanza, #MarketingTok, #EngineersOfTikTok, etc.). Un’azienda B2B dovrebbe monitorare queste nicchie e inserirsi in modo pertinente. Ad esempio, una società di servizi cloud potrebbe collaborare con un creator tech popolare su #TechTok per parlare di trend di cloud computing, ottenendo visibilità mirata. Anche campagne pubblicitarie B2B su TikTok stanno emergendo: con strumenti di targeting migliorati, si può mostrare un contenuto sponsor ad esempio ai dipendenti di certe aziende o settori (via targeting per interessi e comportamento).
  • Misurare e sperimentare, senza paura di osare: Il B2B tradizionale è spesso cauto sui social, ma su TikTok premia la sperimentazione. Poiché ancora relativamente poche aziende B2B sono attive sulla piattaforma, chi arriva adesso può beneficiare di minor affollamento e di un effetto sorpresa. Ovviamente occorre definire KPI adatti (es. interazioni, traffico al sito da link in bio, candidature ricevute) e non aspettarsi vendite immediate da un video TikTok. Ma la costruzione di brand awareness e relazioni (es. con decision maker che usano TikTok nel tempo libero) può ripagare nel lungo termine. Un dato interessante: il 15% dei marketer B2B ha iniziato a utilizzare TikTok per la prima volta nel 2024

In conclusione, le strategie TikTok 2025 per le aziende, siano esse B2C o B2B, ruotano attorno a tre concetti: creatività, comunità e conversione. Creatività nel produrre contenuti nativi della piattaforma (via trend, suoni, storytelling breve); costruzione di comunità tramite interazioni, influencer e valore aggiunto; e infine conversione, ossia saper guidare l’entusiasmo generato verso risultati concreti (vendite, lead, candidature) utilizzando le feature di TikTok (shop, link, ecc.) e integrandole nella strategia omnicanale. Chi saprà bilanciare questi elementi potrà sfruttare TikTok come un acceleratore di business nel 2025.

Scrolling is the new shopping

Quale sarà il futuro del social commerce e chi dominerà lo shopping online? Il feed potrebbe diventare la nuova homepage dell’e-commerce ? In questo futuro, Amazon sarebbe costretto a trasformarsi magari in infrastruttura invisibile (fornendo logistica e fulfillment dietro le quinte) mentre la fase di scoperta e decisione d’acquisto avverrebbe altrove, sui social appunto.

E’ incontrovertibile affermare che i social siano una vetrina, dove chi c’è l’ha, più o meno aspira a vendere, perchè appare logico immaginare che tra qualche anno il vero scontro non sarà più tra piattaforme e-commerce vs piattaforme social, perché tutte saranno un po’ entrambe le cose, piuttosto lo scontro sarà tra ecosistemi “chiusi” che offrono dall’ispirazione alla consegna (ad esempio TikTok che si integra a monte con produzione di contenuti e a valle con magazzini propri) e ecosistemi “aperti” dove diverse aziende collaborano (ad esempio Instagram che funge da vetrina e vari retailer evadono gli ordini, o Amazon che funge da magazzino per vendite generate da social esterni).

Il percorso di acquisto diventerà intrattenente quanto il consumo stesso del prodotto.

Vedremo ballare su Amazon ? Per il momento ha stretto una collaborazione in cui è possibile acquistare prodotti Amazon direttamente dall’App di TikTok. (Fonte: TikTok)

TikTok diventerà il nuovo Amazon? È meno probabile che riesca a rimpiazzarlo totalmente, ma potrebbe eroderne quote importanti in alcune categorie (moda e bellezza in primis) e soprattutto cambiare l’aspettativa dei consumatori su come dev’essere l’esperienza di shopping online: più divertente, interattiva e comunitaria. Chi non si adeguerà a questa aspettativa rischierà di perdere terreno.

TikTok ha lanciato recentemente il suo programma FBT (Fulfilled by TikTok) per supportare i venditori nella gestione dell’inventario e nell’elaborazione degli ordini.

“Scrolling is the new shopping” – questa frase può suonare provocatoria oggi, ma potrebbe essere semplicemente la realtà di domani. Prepariamoci dunque a un commercio sempre più conversazionale, creativo e conteso: per chi saprà innovare integrando il meglio di TikTok, Amazon, Facebook e Instagram, le opportunità saranno enormi; per gli altri, il rischio è di restare tagliati fuori da una rivoluzione silenziosa che sta cambiando le nostre abitudini di acquisto. Il dado è tratto: il futuro dello shopping sarà social, che ci piaccia o no, e tutti i player in gioco stanno muovendo le loro pedine per non perdere la partita.

RePlatforming. 10 motivi per rinnovare la piattaforma e-commerce

RePlatforming. 10 motivi per rinnovare la piattaforma e-commerce

Miglioramento continuo, radicale o disruptive innovation?

Il Sony Walkman , l’Apple Iphone ™ e Amazon Aws ™ sono tre esempi di ciò che i giapponesi chiamano “kaikaku“, ovvero un miglioramento radicale del prodotto che per i 3 brands ha significato l’apertura di nuovi mercati ed un cambio di abitudini dei consumatori.

Sono 3 esempi iconici di innovazione trasformativa nei rispettivi settori.

Il termine “Kaizen (改善)” indica un miglioramento continuo e graduale, “Kaikaku (改革)” un miglioramento radicale, “Kakushin (革新)” quando l’Innovazione dirompente e la trasformazione totale.

Ci sono momenti nella vita di una azienda in cui il cambiamento visto come un processo quotidiano di continui miglioramenti e piccole ottimizzazioni graduali non è più sufficiente.

Tra l’approccio “kaizen” della qualità totale e continua di Toyota ed uno “kakushin” di innovazione dirompente come quello di Tesla (applicata da Elon Musk in tutte le sue startup), il secondo sembra essere più profittevole.

Tesla Profit Margins
Tesla guadagna su ogni auto più di ogni altro suo concorrente grazie al suo approccio produttivo innovativo.

Per chi è già presente nel mercato da tempo, certamente la cultura del miglioramento continuo non potrà essere abbandonata tuttavia non si può guardare con indifferenza ai nuovi player che entrano nel mercato, alla concorrenza globale dei grandi brands, al ruolo dell’innovazione tecnologica, come nel caso di cloud e intelligenza artificiale con la stessa vision dell’anno passato.

Si utilizza spesso il termine “disruptive”, per indicare quella trasformazione completa e totale che conduce l’azienda verso un nuovo un nuovo ciclo di successi e crescita duratura come l’unica possibile; a mio modesto avviso dovrebbe prevalere un approccio ibrido quello chiamato “kaikaku”, un risultato intermedio tra “kaizen” e “kakushin”.

Quando la crescita rallenta e si presentano nuove rivoluzioni tecniche (come l’AI) è obbligatorio pensare se sia opportuna: una ristrutturazione della propria infrastruttura digitale, della propria organizzazione, del customer journey, delle strategie commerciali fin’ora adottate, fino al replatforming.

Il Replatforming

Per replatforming, s’intende il processo di migrazione di un’applicazione, un sito web o un’infrastruttura digitale da una piattaforma tecnologica a un’altra, con l’obiettivo di migliorarne le prestazioni, l’efficienza e l’allineamento con le esigenze di business attuali.

Certamente, è più facile a dirsi che a farsi ma questi tempi richiedono rinnovamenti radicali, coraggiosi e piuttosto frequenti.

Il cambiamento richiede leadership, visione e coinvolgimento di tutti gli attori, anche quelli non protagonisti: l’approccio è top-down e non viceversa.

Ci sono migliaia di siti web e-commerce, nati come appendici di business tradizionali con piattaforme open source, poco budget e risorse limitatissime che funzionano ma che hanno un potenziale inespresso enorme.

Come pure per chi ha fatto investimenti importanti, spesso usa piattaforme software proprietarie ben al di sotto del 50% della loro potenzialità: per tanti motivi tra cui: inesperienza dello staff, mancanza di competenze, formazione inadeguata e/o risorse mal gestite.

Se ci si affida ad un fornitore esperto, il l’ecommerce o il replatforming e-commerce sblocca opportunità di crescita straordinarie e l’innovazione genera nuova domanda.

Quando innovare la propria piattaforma ?

Se almeno 3 di questi 10 problemi affliggono la tua piattaforma e-commerce pensa seriamente al re-platforming.

  1. Prestazioni obsolete, ovvero quando la piattaforma attuale non supporta la crescita del business, non soddisfa le aspettative dei clienti finali e/o è al limite dell’affidabilità;
  2. Funzionalità limitate , quando le funzionalità della piattaforma sono ridotte o troppo limitate per intraprendere nuove opportunità di marketing o iniziative di business in nuovi mercati o paesi. Oppure gli obiettivi aziendali sono cambiati a seguito di un cambio di governance.;
  3. Costi di manutenzione elevati, quando i costi di manutenzione per mantenere e aggiornare la piattaforma attuale sono diventati insostenibili o ingiustificati;
  4. Scalabilità insufficiente, quando il server non gestisce picchi di traffico, i nuovi requisiti di velocità richiesto ad esempio da Google oppure quando la crescita non è più lineare e l’azienda non riesce a superare gli attuali volumi di ordinativi;
  5. Design o esperienza utente obsoleta, quando il design e/o l’esperienza utente non è più in linea con le aspettative dei clienti moderni e/o non rappresenta più il brand;
  6. Integrazione difficile, quando il business richiede l’integrazione con piattaforme di terze parti e/o servizi necessari per il business e questa non si adatta ;
  7. Conformità normativa. Più il peso dell’e-commerce cresce, più gli adempimenti fiscali e legali si fanno più consistenti. Alcune piattaforme costringono non sono adatte per la legislazione italiana devono rispettare per essere conforme alle nuove normative ed allo standard del settore;
  8. Pannello di amministrazione inefficiente. Le dashboard sono fotografie del momento molto importanti, talvolta i dati mostrati non sono personalizzabili oppure in caso di operazioni ripetitive sono estremamente farraginose ;
  9. Sicurezza, ogni sito web custodisce informazioni personali e preferenze di prodotti. Anche un solo episodio di vulnerabilità o un attacco può minare definitivamente la credibilità del sito;
  10. Omni-canalità / multicanalità ridotta, quando l’eCommerce non dialoga con altri sistemi o applicazioni aziendali (es.: il magazzino, il marketing, una app, un punto di vendita fisico)

Le operazioni di migrazioni richiedono dai 2 mesi, nei casi più semplici, ai 12 mesi per quelle più lunghe e complesse.

Il partner governa la complessità con metodo, spesso si è confrontato con problematiche già risolte in precedenza.

Certamente come abbiamo scritto in precedenza, bisogna essere aperti al cambiamento, acquistare, noleggiare o sviluppare ex-novo una nuova piattaforma, e-commerce o non, senza definire preliminarmente i nuovi obiettivi o la strategia rischia di creare un clone tale e quale al precedente.

Il 70% dei processi di digital transformation fallisce a causa di una mancanza di comunicazione a livello organizzativo.

Nei primissimi incontri, si definiscono:

  • quale piattaforma e-commerce sia la più adatta, non esiste una taglia unica per tutti;
  • il team di lavoro e coordinamento lato azienda;
  • il costo della nuova piattaforma, dei costi di manutenzione o licenza, dei tempi, della migrazione, della formazione, dei test prima del go-live
  • gli obiettivi di design, la UI e UX;
  • le nuove funzionalità tra le Must-Have, Should-Have, Could-Have e Would-like-to-have

Negli ultimissimi mesi ho realizzato con il mio team re-platforming complessi per importanti clienti europei, andate live con soddisfazione di tutta la governance, rispettando timing e obiettivi.

Oltre ad aver ridotto onerosi costi di licenza e tempi lunghi di alcune operazioni, dopo 3 mesi in cui lo staff ha preso confidenza con la nuova piattaforma la soddisfazione si legge sul volto.

Brandsplace, marketplace e saldi

Brandsplace, marketplace e saldi

Brandsplace: un canale da utilizzare per smaltire resi e invenduto

Approfondiamo il tema dell’invenduto e dei resi, esplorando le opportunità a disposizione dei brands dopo il periodo dei saldi.

Nel 2021, scrivevo che il D2C avrebbe sostituito B2C: la chiusura dei punti vendita fisici causati dall’emergenza sanitaria, i problemi di liquidità da essa derivanti hanno evidenziato come l’organizzazione dei brands fosse tutto sommato fragile.

Il D2C (DTC, il Direct-to-Consumer) è un modello vincente in trasformazione: conia neologismi, spinge i colossi dell’e-commerce verso l’ibridazione di nuovi modelli di business dove i brand, già leader del commercio internazionale e protagonisti sui social diventano Seller anzichè semplici Vendor.

Ora le tensioni internazionali, congiunturali o strutturali pongono nuovi problemi a cui si aggiunge specie in Europa, una crescente sensibilità verso la sostenibilità ambientale, il re-commerce.

Il fast fashion è sotto accusa, ciò nonostante sono nati nuovi marketplace che lo esaltano.

Le parole chiavi sono: digitalizzazione, sostenibilità e omni-canalità, queste rappresentano la strategia per assicurare una crescita responsabile di un brand, in grando assorbire la sempre più ampia offerta di prodotti, invenduti, resi ed anche usati.

Avere il proprio e-commerce e essere presente contemporaneamente su marketplaces generalisti (es. Amazon, Ebay, Yoox o Zalando ecc…) non è più sufficiente! Per essere efficienti occorre la disponibilità del dato in tempo reale del prodotto su ogni canale e per essere sostenibili occorre presidiare anche i canali C2C, dell’usato e del ricondizionato.

Le soluzioni di gestionale software e-commerce che consiglio sono tutte integrate nativamente con i principali marketplace, consentono di interfacciarsi con altri store online via API, generare feed per comparatori e piattaforme pubblicitarie, come nel caso di Google Shopping e Meta, integrando anche la disponibilità in tempo reale nei singoli punti fisici, per il ritiro immediato (c.d. click-and-collect).

Gestire da un’unica piattaforma i propri prodotti, essere proprietari dei dati di clienti e prospect consente di guidare la creazione di contenuti ad hoc, con immagini e video, gestire recensioni, social media, mantenendo il pieno controllo di ogni parte del funnel (o del flywheel).

I consumatori non distinguono i confini tra i canali, conoscono il retargeting, vorrebbero un’esperienza personalizzata virtuale simile a quello acquisto fisica con i propri dispositivi tecnologici, in modo frictionless.

Il caso VeePee

L’idea di BrandsPlace, il marketplace di Veepee, conosciuto in Italia anche con il nome di Vente Privee e con Privalia, sarà presto imitata da altri ipermercati digitali. L’esperienza è più completa rispetto al Brand Store di Amazon, specie il rapporto con il cliente finale.

BrandsPlace è un marketplace nel marketplace dove i brands possono intervenire autonomamente e rapidamente a supporto della promozione delle vendite, anche in stagione con margini di manovra più ampi.

Inoltre Veepee ha lanciato due iniziative di economia circolare virtuose, uniche nel settore del fashion:

  • Re-cycle: attraverso il quale si permette di rimettere in circolazione gli abiti usati dei propri clienti attraverso un processo che parte dal lavaggio del capo alla foto, in cambio di un buono spesa;
  • Re-turn: un servizio C2C per la gestione dei resi, che consente la rivendita dei prodotti tra gli utenti della piattaforma con uno sconto aggiuntivo, riducendo i flussi logistici e l’impatto ecologico.

Segnalo per completezza anche InShop, il servizio di disponibilità in real-time a sostegno della gestione della rotazione delle scorte di magazzino.

Brandsplace

Nel brandsplace: il brand è al centro della scena, con un marketplace esclusivo all’interno di un altro, dove ha il controllo completo della propria vetrina. E’ possibile :

  1. Presentare le proprie collezioni, sia in-season che out-season;
  2. Gestire autonomamente promozioni e sconti;
  3. Creare un’esperienza di brand personalizzata;
  4. Interagire direttamente con i consumatori;
  5. Aprire e chiudere sales in parallelo nelle varie countries.

Questo modello offre ai brand:

  • Maggiore controllo sull’immagine e sul messaggio del brand;
  • Possibilità di costruire relazioni dirette con i clienti;
  • Accesso ad un pubblico più ampio;
  • Maggiori margini di profitto.

La maggior efficienza e controllo, richiede ai brand un impegno maggiore in termini di gestione della piattaforma e servizio clienti.

La concorrenza all’interno del brandsplace è molto alta, nonostante la presenza di centinaia di brand è comunque limitata rispetto al marketplace tradizionale e generalista, che è rimane più completo: offre varie modalità di spedizione della merce, un sistema di recensioni garantito che aiuta a prendere le decisioni di acquisto, prezzi più competitivi per il consumatore e margini più ridotti per il brand.

Nei brandplace, il fulfillment (il processo di gestione degli ordini dall’acquisizione dell’ordine fino alla consegna al cliente) può essere in house, esternalizzato (come nel caso di Amazon FBA) o in dropshipping.

Quest’ultimo è molto diffuso tra gli intermediari esclusivamente commerciali, perchè consente all’azienda di non avere un proprio magazzino, nè uno stock e gli ordini dei clienti vengono inoltrati direttamente ai fornitori o produttori che spediscono direttamente al cliente finale.

Flash Sales, tutto l’anno

Le flash sales che promettevano forti sconti fino all’80% non sono più concentrate solo in alcuni periodi dell’anno, oltre ai saldi e nel black friday. Ora le vendite lampo ci sono tutte le settimane e sono uno dei tanti strumenti di marketing a disposizione per il brand per gestire l’invenduto. Sconti elevati, disponibilità ridotta su una selezione limitata di prodotti diventeranno un’attività periodica grazie alla comunicazione tra i canali.

Digital Export. Fino a 15.000 euro a fondo perduto.

Digital Export. Fino a 15.000 euro a fondo perduto.

Digital marketing, e-commerce e marketplace sono attività finanziate dal bando

Digital Export 2024 – 2025 Rimini e Romagna in pole position

La Regione Emilia Romagna e le CCIAA territoriali hanno stanziato 1,588 milioni di euro per il 2025 a sostegno dell’export attraverso la digitalizzazione, sono molte le risorse a disposizione per le imprese romagnole. Si ri-presenta per le PMI del settore manufatturiero una nuova occasione per espandere il proprio raggio d’azione e cogliere nuove opportunità di business a livello internazionale, grazie al generoso contributo disponibile sarà possibile finanziare attività di digital marketing, e-commerce finalizzate a crescere sui mercati esteri.

Ecco gli elementi principali del bando:

Termini di presentazione delle domande

  • Apertura: ore 9:00 del 2 settembre 2024
  • Chiusura: ore 13:00 del 20 settembre 2024

Soggetti Beneficiari

  • Micro e PMI con sede legale o unità locale in Emilia-Romagna;
  • Iscrizione al Registro delle Imprese entro il 31.12.2021
  • Appartenenza Settore manifatturiero (Codici Ateco Sez. C, divisioni 10-33)

Requisiti

  • Imprese regolarmente costituite e iscritte al Registro delle Imprese delle CCIAA
  • Sede legale e/o unità locale in Emilia-Romagna
  • Regolarità con il pagamento del Diritto Annuale e con gli adempimenti previdenziali e assicurativi
  • Rispetto del Regolamento UE in materia di aiuti “De Minimis”

Interventi Finanziabili

  • Progetti per l’internazionalizzazione e promo-commercializzazioni su max 2 paesi esteri
  • Servizi di consulenza
  • Sviluppo competenze interne (Formazione e T.E.M./D.E.M.)
  • Realizzazioni di attività di marketing digitale:
  • Avvio e sviluppo della gestione di business on line (BOL), ovvero E-commerce e MarketPlace
  • Realizzazioni di landing page;
  • Traduzioni del sito web*;
  • Servizi di consulenza per il commercio internazionale;
  • Realizzazioni di incontri B2B e B2C;
  • Partecipazione a fiere, eventi e convegni internazionali.

Spese non ammissibili

  • Consulenze da imprese associate o collegate;
  • Spese non tracciabili o documentazione incompleta.

Agevolazioni Previste

  • Contributo a fondo perduto nella misura del 50% della spesa ammessa;
  • Importo massimo del contributo: 15.000 euro;
  • Importo minimo del contributo: 5.000 euro.

Durata dell’intervento

  • A partire dal 01/01/2025 al 31/12/2025;
  • Eccezione: Spese per acconti relative ad interventi nel 2025.

Fonte: Regione Emilia Romagna

Se desidera saperne di più, compili il form

Finanza Agevolata

E-commerce. Tasso allo 0,511% con Simest per 4 anni

Finanziamento a tasso agevolato della durata di 4 anni, di cui 2 di pre-ammortamento.

Termini di presentazione delle domande

  • Apertura: ore 9:00 del 25 luglio 2024
  • Chiusura: –

Soggetti Beneficiari

  • Micro e PMI italiane

Requisiti

  • Imprese regolarmente costituite e iscritte al Registro delle Imprese delle CCIAA
  • Rispetto del Regolamento UE in materia di aiuti “De Minimis”

Agevolazioni Previste

  • Importo minimo del contributo: 10.000 euro.
  • Importo massimo del contributo: 20% dei ricavi medi degli ultimi due bilanci (max 500.000 euro);
  • Contributo a fondo perduto nella misura del 10% o 20% della spesa ammessa, fino ad un massimo di 100.000 € se il focus del progetto è rivolto al continente africano.

Interventi Finanziabili

  • Creazione di una piattaforma e-commerce propria;
  • Miglioramento di una piattaforma ecommerce esistente;
  • Avvio e sviluppo della gestione di business on line (BOL), ovvero E-commerce e MarketPlace;
  • Progetti di marketing digitale per l’internazionalizzazione e promo-commercializzazioni su paesi esteri
  • Sviluppo competenze interne (Formazione e T.E.M.)
  • Servizi di consulenza per il commercio internazionale;

Durata dell’intervento

  • 4 anni

Fonte: E-commerce – Simest CDP

Transizione digitale. Tasso allo 0,511% con Simest per 6 anni

Finanziamento a tasso agevolato fino al 50% per un progetto di Transizione Digitale, della durata di 6 anni, di cui 2 di pre-ammortamento.

Termini di presentazione delle domande

  • Apertura: ore 9:00 del 25 luglio 2024
  • Chiusura: –

Soggetti Beneficiari

  • Micro e PMI italiane;
  • PMI delle filiere produttive;
  • Imprese localizzate nei territori alluvionati verificatisi nel maggio 2023;
  • Imprese con interessi nell’Europa dell’Est

Requisiti

  • Imprese regolarmente costituite e iscritte al Registro delle Imprese delle CCIAA
  • Rispetto del Regolamento UE in materia di aiuti “De Minimis”

Agevolazioni Previste

  • Importo minimo del contributo: 10.000 euro.
  • Importo massimo del contributo: 35% dei ricavi medi degli ultimi due bilanci (max 500.000 euro per le Micro, 2,5 Mln € per le PMI e 5 Mln € per le altre imprese );
  • Contributo a fondo perduto nella misura del 10% fino ad un massimo di 100.000 €.

Interventi Finanziabili

  • Creazione di una piattaforma e-commerce propria;
  • Miglioramento di una piattaforma ecommerce esistente;
  • Avvio e sviluppo della gestione di business on line (BOL), ovvero E-commerce e MarketPlace;
  • Progetti di marketing digitale per l’internazionalizzazione e promo-commercializzazioni su paesi esteri
  • Sviluppo competenze interne (Formazione e T.E.M.)
  • Servizi di consulenza per il commercio internazionale;

Durata dell’intervento

  • 6 anni

Fonte: Transizione Digital / Simest CDP

Direttiva Omnibus. Come cambiano prezzi, sconti e recensioni

Direttiva Omnibus. Come cambiano prezzi, sconti e recensioni

Il framework normativo

La c.d. Direttiva Omnibus (Direttiva UE 2019/2116) ispirata dal titolo “New Deal for Consumers” ha aggiornato il vigente quadro normativo definendo quali pratiche commerciali devono essere ritenute ingannevoli e/o aggressive, quali informazioni devono essere fornite dal vendor, sia nei casi dell’e-commerce B2C che in tutti gli altri casi in cui ci si trovi fuori dai locali commerciali.

La normativa è stata recepita in Italia con forte ritardo, è stata proposta dal Parlamento europeo e dal Consiglio dell’Unione europea a novembre 2019 e sarebbe dovuta entrare in vigore in tutti gli stati membri a maggio 2021, invece è stata approvata in Italia dal Consiglio dei ministri solo il 24 febbraio 2023 e licenziata con Decreto legislativo n. 26 del 7 marzo 2023, entrando in vigore il 2 aprile scorso.

La direttiva ha previsto rilevanti modifiche al Codice del Consumo, ciò significa che non si applica alla vendita B2B ma che opera verso tutte le piattaforme online, B2C e i marketplace che offrono prodotti e/o servizi ai consumatori finali dietro pagamento di un corrispettivo, che gratuiti quando si richiedono in cambio dati personali o altri tipi di informazione.

Uno degli obiettivi della direttiva è l’armonizzazione unionale: l’adeguamento delle quattro direttive esistenti, la direttiva 93/13/CEE sulle clausole abusive nei contratti conclusi con i consumatori, la direttiva 98/6/CE sulla protezione dei consumatori in materia di indicazione dei prezzi dei prodotti offerti ai consumatori, la direttiva 2005/29/CE relativa alle pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori nel mercato interno e la direttiva 2011/83/UE sui diritti dei consumatori.

La Commissione Europea ha pubblicato degli orientamenti interpretativi a fronte delle norme introdotte dalla Direttiva Omnibus per facilitare le attività di integrazione e la corretta applicazione dei singoli ordinamenti statali.

Dal 1° luglio 2023 sono entrate in vigore le normative sull’applicazione di prezzi promozionali.

Premessa

I punti chiave della direttiva, dal punto di vista del merchant e-commerce, riguardano in generale la trasparenza delle informazioni, la regolamentazione di alcune pratiche commerciali scorrette nonché l’armonizzazione norme e l’inasprimento delle sanzioni.

Tutte le informazioni devono essere accessibili, dirette, permanenti e aggiornate.

Il merchant deve fornire informazioni chiare sulle condizioni contrattuali, inclusi i termini e le condizioni di vendita. I consumatori devono essere adeguatamente informati sulle modalità di presentazione dei prodotti, se il prezzo è “personalizzato”, sulle politiche di pagamento, sulle condizioni di servizio e sulle politiche di risoluzione delle controversie della piattaforma riguardo al prezzo del prodotto o servizio, inclusi eventuali costi aggiuntivi (tasse, spese di spedizione, ecc.).

Ricordiamo il divieto di applicare sovrapprezzi alla transazione quando avviene con carta di credito o similari. Eventuali oneri nascosti o costi non trasparenti possono comportare sanzioni.

Gli obblighi informativi sono ora più ampi, è obbligatorio indicare oltre all’indirizzo geografico dove è stabilita l’organizzazione e l’indirizzo e-mail, il numero di telefono prima della conclusione del contratto.

È bene specificare, a tal proposito, che la Corte di giustizia UE (causa C-649/17) ha affermato che il professionista non è obbligato ad attivare una linea telefonica e a comunicare il proprio contatto telefonico al consumatore, se è previsto un altro mezzo di comunicazione che consenta un contatto rapido ed efficace.

Il legislatore privilegia la comunicazione scritta, attraverso la quale è possibile rintracciare in maniera inequivocabile la data e l’orario dei relativi messaggi.

Vediamo nello specifico quali informazioni sono obbligatorie, quali devono essere fornite prima dell’ordine (sul proprio sito web), che dopo l’ordine (a mezzo e-mail) .

Prima dell’ordine – Informazioni precontrattuali

  • dati riguardanti l’identificazione del venditore/prestatore di servizi (nome, denominazione societaria, domicilio, sede, telefono, posta elettronica, numero iscrizione REA, numero registro imprese);
  • indicazione di prezzi e tariffe relative ai beni/servizi, con oneri fiscali, costi di consegna ed altri costi accessori (es.: oneri doganali); eventuali agevolazioni quali sconti, risparmi e vantaggi simili possono essere promossi sul sito solo se effettivi e se vengano comunicati il prezzo pieno di riferimento, a cosa corrisponde tale prezzo (es. prezzo di listino, prezzo applicato dal fornitore) e lo sconto/risparmio applicato. In caso di impossibilità a fornire preventivamente eventuali i costi accessori la direttiva suggerisce di indicare le modalità di calcolo;
  • la durata del contratto, e nel caso di contratti di servizi a tempo indeterminato le condizioni di risoluzione di questi;
  • esistenza e termini del diritto di recesso (compreso il modulo per il recesso) o esclusione dello stesso (nelle ipotesi tassativamente previste dalla legge) con modalità tempi per ritiro o la restituzione bene nel caso di recesso;
  • le modalità di pagamento, consegna (ivi comprese eventuali limitazioni) ed esecuzione dell’ordine;
  • in caso di servizi o prodotti a contenuti digitali, l’eventuale interoperabilità sui sistemi operativi;
  • garanzie legali connesse alla vendita;
  • indirizzo del fornitore per eventuali reclami;
  • lo status del venditore, se professionale o persona fisica
  • link alla piattaforma di risoluzione stragiudiziale delle controversie (ODR).

Dopo l’acquisto online

  • le fasi tecniche da seguire per la conclusione del contratto;
  • il modo in cui il contratto verrà archiviato e le relative modalità di accesso allo stesso;
  • i mezzi tecnici messi a disposizione del destinatario per individuare e correggere gli errori prima dell’inoltro dell’ordine;
  • gli eventuali codici di condotta del prestatore;
  • le lingue a disposizione per concludere il contratto;
  • gli strumenti di composizione delle controversie.

Il prezzo

Grande attenzione del legislatore europeo sull’applicazione dei prezzi fortemente scontati, specie durante le campagne promozionali di vendita, come accade durante i saldi o in particolari giorni dell’anno come, ad esempio, in occasione del “Black Friday”, il “Cyber Monday”, ecc…

La direttiva desidera eliminare scontistiche false e prezzi civetta, ciò significa che non è sufficiente che il venditore esponga il prezzo listino, ma deve mostrare anche il più basso negli ultimi 30 giorni precedenti l’inizio della riduzione.

Se, vengono applicati più volte dei ribassi, va considerato come prezzo precedente quello relativo al primo annuncio di riduzione esposto.

Nel caso di un prodotto immesso sul mercato da meno di un mese sarà sufficiente riportare il prezzo precedente, indicando però il periodo temporale di riferimento, che sarà necessariamente inferiore a 30 giorni.

Eccezioni

Come sempre esistono le eccezioni, che in questo caso si applicano a:

  1. i prodotti agricoli, alimentari deperibili o vicini alla data di scadenza;
  2. i casi in cui la variazione di prezzo non è dovuta a operazioni di sconto, vedi l’inaugurazione di un nuovo locale o il lancio di un nuovo prodotto;
  3. le offerte combinate, i bundle di prodotti o “prendi 3, paghi 2”;
  4. i codici promozionali personalizzati o le offerte legate alle carte fedeltà;
  5. gli annunci che non utilizzano espressioni del tipo “prezzo più conveniente” o “prezzo più basso”;
  6. i prodotti sul mercato da meno di 30 giorni (offerte di lancio);
  7. gli e-shop B2B.

Beninteso, il merchant ha la facoltà di modificare il prezzo del prodotto solo se è stato accordato un contratto specifico con il consumatore che lo autorizza a farlo, in caso contrario, il prezzo concordato in fase di acquisto deve essere rispettato.

Un altro dato che si aggiunge alla già lunga lista di informazioni preliminari, riguarda i prezzi personalizzati sulla base di un processo decisionale automatizzato, come accade in tutti in quei casi in cui interviene l’intelligenza artificiale.

Nonostante la previsione normativa si riferisce al tema del trattamento dei dati, la personalizzazione dei prezzi diventerà certamente una grande opportunità per il marketing, quella di realizzare offerte su misura.

In questi casi, va esplicitata nell’informativa che la determinazione dei prezzi avviene sulla base di una profilazione.

I termini di consegna e spedizione della merce

Con riferimento alla conferma dell’ordine ed ai tempi di consegna, il sito e-commerce deve inviare una conferma dell’ordine al consumatore entro un breve lasso di tempo e fornire una stima precisa dei tempi di consegna.

In caso di ritardi significativi, oltre i 30 giorni massimi previsti dalla normativa, il consumatore ha il diritto di annullare l’ordine e ottenere il rimborso, a meno che il consumatore abbia accettato il termine supplementare.

La direttiva ribadisce che il merchant è responsabile dei prodotti fino alla consegna al consumatore; se il pacco si smarrisce o subisce danni durante il trasporto, il merchant è tenuto a trovare una soluzione soddisfacente per il consumatore, che può includere la sostituzione del prodotto o il rimborso.

Il diritto di recesso

Il diritto di recesso dei consumatori per gli acquisti online rimane a 14 giorni (in taluni casi è stato esteso a 30), può essere privo di motivazione e qualora venga esercitato il venditore, deve rimborsare: oltre al prezzo del prodotto, le spese di consegna (se previste) sempre entro 14 giorni dalla ricezione della richiesta.

Qualora il consumatore eserciti il diritto di recesso e debba sostenere il costo della restituzione dei beni e questi non possa utilizzare la posta, ne dovrà essere data informazione.

La normativa ha standardizzato la procedura di recesso a livello comunitario.

Eccezioni

Il diritto di recesso si estende sino 12 mesi se il merchant non comunica le modalità di esercizio del diritto, mentre viene escluso quando:

  • i prodotti sono confezionati su misura o chiaramente personalizzati;
  • i prodotti rischiano di deteriorarsi o scadere rapidamente;
  • i prodotti sono sigillati perché non si prestano ad essere restituiti per motivi igienici e sono stati aperti dopo la consegna;
  • i prodotti che, dopo la consegna, risultano, per loro natura, inscindibilmente mescolati con altri beni;
  • le bevande alcoliche, il cui prezzo sia stato concordato al momento della conclusione del contratto di vendita, la cui consegna possa avvenire solo dopo trenta giorni e il cui valore effettivo dipenda da fluttuazioni sul mercato che non possono essere controllate dal venditore;
  • le registrazioni audio o video sigillate o di software informatici sigillati che sono stati aperti dopo la consegna;
  • i giornali, periodici e riviste ad eccezione dei contratti di abbonamento per la fornitura di tali pubblicazioni;
  • i servizi, il cui contenuto digitale è un supporto non materiale e l’esecuzione è iniziata con l’accordo espresso del cliente e con la sua accettazione del fatto che in tal caso avrebbe perso il diritto di recesso;
  • il cui prezzo è legato a fluttuazioni nel mercato finanziario che il venditore non è in grado di controllare e che possono verificarsi durante il periodo di recesso.

Tutte le informazioni che riguardano i diritti dei consumatori, come il diritto di recesso, il diritto alla garanzia, devono essere sempre disponibili sul sito web del merchant.

Pratiche commerciali ingannevoli

La normativa comunitaria all’articolo 22 definisce in maniera tassativa i casi di pratiche commerciali ritenute ingannevoli, sono tantissimi, io evidenzio a mio personale giudizio quelli più rilevanti o frequenti:

  • il merchant afferma di essere firmatario di un codice di condotta o che tale codice ha ottenuto l’approvazione di un organismo pubblico e ciò non risponde al vero;
  • il sito web mostri un marchio di fiducia, di qualità o equivalente senza aver ottenuto la necessaria autorizzazione;
  • il merchant asserisca che le proprie pratiche commerciali, sono autorizzate/approvate da un organismo pubblico;
  • s’inviti all’acquisto di prodotto consapevoli che non si riuscirà a garantire prodotti o prodotti equivalenti al prezzo indicato, entro in un periodo o in quantità ragionevoli;
  • il merchant comunichi che fornirà assistenza post-vendita in una lingua diversa da quella in cui ha sede l’attività e poi concretamente ciò non avviene;
  • presentare un diritto del consumatore come una caratteristica propria dell’offerta;
  • presentare un prodotto simile ad un altro, prodotto dallo stesso produttore;
  • avviare, gestire o promuovere un sistema di promozione piramidale, in cui il consumatore riceve un corrispettivo derivante dall’entrata di altri consumatori piuttosto che dalla vendita o dal consumo di prodotti;
  • affermare, contrariamente al vero, che il prodotto ha capacità curative;
  • comunicare informazioni inesatte sulle condizioni di mercato da indurre un consumatore ad acquistare un prodotto a condizioni meno favorevoli di quelle normali di mercato.

A queste si aggiungono, altre particolari situazioni descritte successivamente.

Per i marketplace

Lo status del rivenditore

Con la crescita della sharing economy, la nascita di nuovi marketplace C2C (Consumer to Consumer) come AirBnb, BlaBlaCar, Vinted, Subito.it, Facebook Marketplace è aumentata la difficoltà di comprendere quando il venditore è un professionista e quando un consumatore.

La direttiva Omnibus impone l’obbligo il gestore del marketplace di specificare la reale natura di rivenditori: se professionale o consumatore, perché ovviamente da tale distinzione deriva l’applicabilità o meno della disciplina di tutela del soggetto ritenuto più debole.

Ranking dei prodotti

La direttiva Omnibus ha deciso anche di intervenire nei confronti dei marketplace che mescolano risultati sponsorizzati a quelli organici, senza esplicitarlo.

Ai  consumatori, che visualizzano una lista di prodotti all’interno di un marketplace, dovrà essere chiaro e facilmente accessibile sin dalla fase della prima ricerca, il motivo per cui un prodotto ha un posizionamento maggiore rispetto ad un altro; se appartiene al programma pubblicitario dovrà essere specificato che l’annuncio è promozionale, al contrario se non lo è dovranno essere indicati altresì i parametri principali che determinano la classificazione dei prodotti e l’importanza di ciascuno rispetto ad altri parametri, come ad esempio, il prezzo, la disponibilità del prodotto, il numero delle recensioni, ecc…

Questa prescrizione, non si applica ai motori di ricerca che hanno programmi pubblicitari dedicati, pensate ad esempio Google Shopping, Trovaprezzi, Kelkoo.

Recensioni

Le recensioni sono diventate uno strumento di marketing molto efficace, la riprova sociale, come riportati in decine di testi di guru del marketing, è in grado di influenzare la decisione di acquisto del consumatore.

Il nuovo comma del Codice del Consumo, impone al titolare del sito web di rivelare, se e in che modo si garantisce che le recensioni pubblicate provengano da consumatori i quali hanno effettivamente acquistato o utilizzato il prodotto.

Ad esempio, è importante dichiarare l’introduzione di sistemi di notifica/verifica delle recensioni dei prodotti, un elemento su cui la maggior parte dei consumatori fa affidamento nel momento di fare un nuovo acquisto e scegliere fra più alternative.

Non è obbligatorio mostrare le recensioni, ma qualora lo si faccia giova ricordare che queste devono provenire da reali acquirenti, libere e verificate ed il consumatore dovrà:

  • è vietato modificare in alcun modo le recensioni ricevute;
  • è vietato pubblicare recensioni false;
  • è vietato pubblicare solo recensioni positive;
  • è vietato chiedere a terzi di effettuare delle recensioni promettendo un vantaggio economico;

Circa il divieto di pubblicare solo recensioni positive, evidenziamo anche la pratica (ritenuta scorretta) di selezionare preliminarmente solo gli utenti che si ritiene abbiamo avuto un’esperienza di acquisto positiva, escludendo gli insoddisfatti.

La normativa vieta esplicitamente l’incarico ad un soggetto affinché questo rilasci recensioni false e apprezzamenti sui social media.

Le piattaforme che organizzano e gestiscono recensioni oltre a prendere misure per prevenire la loro manipolazione, devono mettere a disposizione dei merchant un processo di notifica e risposta per consentire loro di gestire recensioni ingiuste o diffamatorie.

Secondary ticketing o re-ticketing

Il fenomeno del bagarinaggio online scoppiato negli anni scorsi, quando l’acquisto del tagliando era possibile solo utilizzando circuiti di distribuzione paralleli, non ufficiali, pagando biglietti maggiorati fino a 10 volte il valore nominale, è  vietato.

La rivendita di biglietti di eventi è possibile solo se il prezzo è inferiore o uguale al prezzo nominale e se effettuata occasionalmente, mentre è vietata qualora l’acquisto sia avvenuto eludendo i limiti di acquisto personali e soprattutto tramite sistemi automatizzati. Il legislatore oltre a porre il divieto ha previsto sanzioni severe, anche verso i gestori di marketplace C2C, qualora venga dimostrato una loro possibile forma di controllo.

Responsabilità del contenuto

La direttiva stabilisce che le piattaforme non possono essere considerate responsabili per il contenuto illegale o dannoso fornito dai merchant, a meno che non abbiano agito in modo negligente o non abbiano ottemperato agli obblighi di notifica o rimozione del contenuto illecito.

Dual Quality

La normativa europea ha regolamentato anche la “Dual Quality”, ovvero il caso in cui vi sia un’attività di marketing che promuove un bene come identico tra due stati membri nonostante vi siano significative differenze tra i due beni per composizione e caratteristiche.

Fatto salvo che vi siano fattori legittimi e obiettivi, è sempre considerata una pratica commerciale scorretta.

Proprietà intellettuale e prodotti contraffatti

La direttiva richiede alle piattaforme di adottare misure per prevenire la vendita di prodotti contraffatti o illegali.

Diritto di tutela e al risarcimento del danno

Una grande innovazione introdotta dalla direttiva comunitaria è il riconoscimento al consumatore di poter adire direttamente l’Autorità Giudiziaria per richiedere il risarcimento del danno subito nel caso in cui questo sia generato da una pratica commerciale scorretta.

In alternativa e se applicabile, tenendo conto della gravità e della natura della pratica commerciale sleale, del danno subito e di altre circostanze pertinenti è sempre possibile adire a organismi intermedi di conciliazione o mediazione attraverso i quali chiedere più speditamente, anche l’applicazione della riduzione del prezzo o la risoluzione del contratto piuttosto che attendere la decisione dell’Authority.

È importante ricordare che quando l’e-commerce vende a consumatori che risiedono in altri paesi esteri, specie in quelli membri le sanzioni previste sono quelle del Paese a cui questo appartiene, in Francia, ad esempio, le sanzioni sono anche penali.

Clausole vessatorie

La direttiva Omnibus applica tolleranza zero nei confronti di clausole abusive, ritenute vessatorie per il consumatore costretto a soggiacere a clausole predisposte unilateralmente dal venditore e che prevedono un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti, a danno del primo.

L’armonizzazione delle sanzioni è a livello europeo anche in caso di clausole contrattuali ritenute vessatorie.

Regime sanzionatorio

La direttiva europea ha modificato sensibilmente il regime sanzionatorio a fine dissuasivi: è stato raddoppiato il massimo delle sanzioni per pratiche commerciali scorrette che dai 5 milioni di euro passa a 10.

I controlli sono affidati all’autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM), che avrà facoltà di irrogare sanzioni che possono arrivare fino al 4% del fatturato annuo della società in caso di violazioni transfrontaliere della società nello Stato membro (o negli Stati membri interessati) in cui si è verificata la violazione, o di 2 milioni di euro nei casi in cui non siano disponibili informazioni sul fatturato.

È aumentato fino a 10 milioni di € la sanzione in caso di inottemperanza di provvedimenti di particolare urgenza, inibitori o di rimozione degli effetti.

Oltre a conseguenze risarcitorie pesanti non dimentichiamo quelle reputazionali, parimenti importanti.