Influencer, partner perfetto o da evitare ?
Quando Simone Mancini, CEO di Scalapay durante un workshop a Netcomm Forum parlò di connessione tra influencer e pagamenti rimasi incuriosito e decisi di approfondire questo tema ed i riflessi sui tassi di reso degli e-commerce.
Influencer. Partner perfetto
Gli influencer s’inseriscono di diritto in una strategia digitale omni-channel, contribuiscono a far crescere rapidamente la notorietà di un brand, di un prodotto o di un servizio.
La credibilità e l’autenticità dell’influencer condiziona le decisioni di acquisto dei consumatori, finanche più di campagne display su motori di ricerca o sui social media; il marketing attraverso i testimonial (sia che siano nano, micro, medio, macro e mega) può rivelarsi più economico rispetto alla pubblicità tradizionale e può offrire ritorni sull’investimento elevati, considerando anche che la produzione di contenuti video ha un peso sul budget pubblicitario.
Ad ogni influencer corrisponde una fanbase più o meno omogenea che dovrebbe coincidere con il profilo ideale di buyer personas dello sponsor e il coinvolgimento generato dalle interazioni, c.d. “engagement ratio” si riflette direttamente sulle vendite rispetto alla pubblicità tradizionale e può essere facilmente tracciato con strumenti di analitica per valutarne il suo ROI (Return On Investment).
Secondo Influencer Marketing Hub, per ogni dollaro speso in campagna le aziende registrano in media un ROI di $5,2.
Ma il ROI non è l’unico parametro da tenere in considerazione quando si usa l’influencer marketing, vi è un aumento della brand awareness ed un miglioramento del sentiment del pubblico.
L’influencer ideale non è solo colui che ha molti follower (in parte potrebbero anche essere fake), ma è un mix: di target di pubblico, capacità di coinvolgimento, stile comunicativo, esperienza e professionalità, non ultima la piattaforma che adotta: ad esempio Instagram viene usato più per la notorietà di marca, YouTube per gli approfondimenti e LinkedIn per l’employer branding.
Tik Tok che ha raggiunto oltre 1 miliardo di utenti attivi mensili, conquistando le generazioni più giovani (16-24 anni) non è più e solo una piattaforma emergente, ma rimane quella più virale e coinvolgente.
La scelta di un influencer passa anche attraverso la scelta dei valori che questi è solito comunicare ed ecco i motivi per cui i fatti recenti che hanno coinvolto una importante personaggio hanno fatto riflettere tutto il mondo della comunicazione digitale.
Non meno importante, segnalo che i contenuti generati dagli utenti e le condivisioni sui social media aiutano a migliorare anche il posizionamento sui motori di ricerca (SEO).
Sembra, che non ci siano controindicazioni ?!?
Serial Returner. Cliente da evitare
Non tutti gli influencer sono però clienti ideali, talvolta, specie quando appartengono alla categoria di “aspiranti influencer” possono anche essere restitutori seriali: i più piccoli, coloro che acquistano solo al fine produrre contenuti hanno alte probabilità del reso dei prodotti: il settore “Tech”, “Moda e Bellezza” sono le category con le percentuali di restituzione più alte.
Certamente c’è un nesso di causalità tra influencer e serial returners: le forme d’acquisto d’impulso sono aumentate notevolmente con il social commerce.
I serial returners sono una categoria di clienti che effettua un numero elevato di resi rispetto alla media. Si stima che rappresentino circa il 7-10% dei clienti online, ma generano fino al 25% di tutti i resi. I resi nell’e-commerce si stimano con una media superiore al 30% degli ordini totali (contro il 9% dei resi dei prodotti acquistati in negozio), il settore dell’abbigliamento è quello che registra picchi più elevati, sino al 50% nel compartimento del lusso.
Seppure legittimo l’esercizio del diritto di recesso ci sono alcune distorsioni a cui fare attenzione. Ci sono varie tipologie di serial returners:
- Wardrobing: acquistano abiti per eventi speciali, li indossano una volta e poi li restituiscono;
- Bracketing o Fitting Roomer: acquistano più varianti di un prodotto con l’intento di restituire quelle indesiderate;
- Serial tester: acquistano prodotti per provarli e poi li restituiscono per acquistare il modello migliore altrove;
- Bargain hunters: approfittano di sconti e promozioni per acquistare prodotti che poi restituiscono se non soddisfatti;
- Compulsive Shoppers: gli acquisti d’impulso da opportunità si trasformano in rischio quando il senso di colpa e rimorso dopo un’abbuffata di acquisti prevale e si restituiscono i prodotti per placare il senso di colpa.
Ed infine i:
- Fraudolenti: sfruttano le politiche di reso per ottenere prodotti gratuitamente o per truffare i merchant.
La policy di reso nell’esperienza d’acquisto
Le politiche di reso nell’e-commerce sono in continua evoluzione, spinte dalla necessità di bilanciare la fiducia e la soddisfazione del cliente con la sostenibilità operativa e ambientale.
Ricordiamo che quando si acquista un qualsiasi prodotto o servizio, il consumatore ha una facoltà legittima di esercitare il diritto di reso oppure il diritto di recesso, ancorché senza motivazione.
Quanto pesa comprimerlo e quanto peserebbe il conseguente feedback negativo sull’acquisto da parte di altri acquirenti ?
Il diritto di reso si applica solo nei casi in cui la merce acquistata si riveli difettosa, rovinata, non funzionante ed ha validità di 2 anni dalla data di acquisto, mentre il diritto di ripensamento sull’acquisto, senza specificare il motivo è valido se esercitato entro 14 giorni dalla ricezione della merce o dalla stipula del contratto.
Ci sono dell’eccezioni su cui non mi soffermo, in quanto mi preme analizzare la policy di reso come strumento di marketing. Storicamente, le politiche di reso “più generose” e “senza domande” sono state adottate inizialmente come strategia per aumentare la fiducia dei consumatori.
Per quanto la gestione di un reso e-commerce possa essere frustrante, i resi e i cambi sono diventati parte integrante dell’esperienza d’acquisto di un e-commerce e vanno trattati come tali: sono un servizio essenziale al pari della spedizione, che impatta notevolmente sulle conversioni del negozio, secondo le Washington and Lee University e University of Virginia (Journal of Marketing) i consumatori riducono la spesa del 75–100% in 2 anni sui siti che offrono solo il reso a pagamento, e la aumentano dal 158 al 457% su quelli che invece introducono la restituzione gratuita.
Le policy di reso devono essere flessibili, convenienti e semplici, alcuni offrono resi gratuiti e illimitati, mentre altre prevedono limiti di tempo, costi di spedizione a carico del cliente e restrizioni su determinati tipi di prodotti.
Ecco alcuni esempi di policy di reso di merchant famosi:
- Amazon: Prevede un termine di trenta giorni per i resi, che durante le festività si estende fino a tre mesi;
- Zappos: Un negozio online di scarpe e abbigliamento americano, offre addirittura un periodo di un anno per i resi;
- Vinted e Zalando hanno una politica di restituzione a 100 giorni;
- Gucci, Zara e Mango richiedono il reso entro 30 giorni;
- Armani e Intimissimi entro 14 giorni.
Asos per ridurre l’impatto dei resi è intervenuta a più livelli: sui Social Wardrobe, ovvero di chi acquista per postare sui social l’outfit del giorno ha attivato il “servizio di noleggio gratuito”, per ridurre i resi a causa della taglia ha attivato un servizio di “fit assistant” (per valutare la taglia/vestibilità migliore), di “style match” e contemporaneamente ha esteso le policy di reso da 4 settimane a 45 giorni.
Ma anche previsto nelle condizioni generali di vendita, la disattivazione di account qualora vi sia un rapporto di reso sproporzionato.
Nel 2022, l’Authority Antitrust italiana ha sanzionato un importante marketplace di abbigliamento italiano, per aver annullato unilateralmente, gli ordini a consumatori che avevano superato certe soglie di reso; di fatto questa blacklist è stata ritenuta lesiva del diritto di recesso.
La sensibilità delle aziende alla sostenibilità ambientale, investe la reverse logistics, ovvero l’impatto ambientale, il costo sociale che ogni spedizione ha con il suo rientro alla base, un parametro innovativo di cui si terrà sempre conto in futuro.
Le metriche di reso da monitorare
Trovare l’equilibrio è possibile partendo dai dati, analizzando alcune metriche specifiche – perché è fondamentale comprendere se un cliente desidera effettuare il reso perché il prodotto non ha soddisfatto le sue aspettative e quando invece desidera un cambio perché ha scelto l’articolo sbagliato o la taglia/dimensione sbagliata.
Identificare le cause di reso aiuta a organizzare i processi logistici di reso: un prodotto danneggiato o malfunzionante dovrà essere indirizzato all’assistenza o allo smaltimento mentre uno integro ma non gradito dal cliente può tranquillamente tornare in commercio.
Ecco alcuni KPI da considerare:
- Tasso di reso complessivo di tutti i prodotti;
- Tasso di reso di ciascun prodotto;
- Tasso di reso per ogni categoria o linea di prodotti;
- Tassi di reso durante le festività natalizie o nei periodi importanti per la tua attività (hobby stagionali o grandi promozioni);
- Tassi di reso a seconda dei mercati geografici;
- Indicatore NPS, Net Promoter Score, misura la soddisfazione dei clienti e la loro fedeltà al marchio della tua intera attività di e-commerce;
- Valutazione della soddisfazione cliente dopo un’interazione con il servizio clienti.
Può essere utile individuare i serial returner monitorando i loro profili social, chiedendo ad esempio in fase di registrazione e in maniera facoltativa la vanity url ed il social che utilizzano maggiormente.
Il reso ha un impatto non solo sui costi di gestione del reso (spedizione, riassortimento, rimborso), ma è un dato utile per migliorare gli acquisti, per comprendere migliorare l’offerta e la politica di reso, fino anche a decidere se escludere alcuni utenti da alcune offerte personalizzate o da politica di reso estremamente convenienti.
Premesso quanto sopra prima ancora di guardare il tasso di reso di un prodotto o di una categoria, gli esperti consigliano di non perdere mai di vista il LTV c.d. customer lifetime value del singolo cliente.
Qualche anno fa, scrissi un articolo su chi i sono i clienti migliori, e un dirigente di Zappos, il celebre marketplace di calzature statunitense sembra confermare ciò che scrissi, ovvero che solo i dati ce lo possono confermare: “I nostri migliori clienti hanno i tassi di reso più alti, ma sono anche quelli che spendono più soldi con noi e sono i nostri clienti più redditizi” – fino a 3,6 volte superiori dell’acquirente medio.