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L’ecommerce del futuro guarda TikTok

L’ecommerce del futuro guarda TikTok

Il social commerce funziona per Retail e B2B

Strategie e Dati che lo Dimostrano

TikTok non è più solo l’app dei balletti virali: è emerso come nuovo attore dominante nell’e-commerce digitale. In pochi anni, la piattaforma ha integrato funzionalità di shopping in-app, live streaming di vendita e un algoritmo capace di trasformare contenuti amatoriali in trend globali di consumo.

Il social commerce stenta ad affermarsi in Italia come nel resto dell’Europa, ma in Asia, WeChat, RedNote e TikTok stanno esplodendo, sia nel retail che nel B2B. Il ban americano di TikTok è durato troppo poco per riuscire ridurre il divario che Amazon e Meta hanno nel conversational commerce.

E’ attesa per il 5 aprile la decisione sulla cessione di TikTok.
In ballo ci sono 12 miliardi di spese pubblicitarie USA.

Da quando TikTok ha lanciato la funzione TikTok Shop, che consente agli utenti di acquistare prodotti direttamente dai video grazie all’AI la crescita di TikTok sembra inarrestabile. Il valore delle transazioni ha raggiunto 17,5 miliardi di dollari nel 2024 solo negli USA – ha fatto un balzo di 10 volte rispetto all’anno precedente – se pensate che globalmente fatturava circa 16,1 nel 2023​, i dati del 2024 saranno sorprendenti. Le previsioni per il 2025 sono che le entrate pubblicitarie raggiungerano i 32 miliardi di dollari, con una crescità di +24,5%.

Nel 2023 il Gross Merchandise Value (GMV), ossia il totale vendite transitate sulla piattaforma di Douyin (la versione originale cinese di TikTok) ha raggiunto 2,7 trilioni di RMB, pari a 374 miliardi di dollari. Avete letto bene: centinaia di miliardi di dollari di beni venduti via TikTok in un solo anno in Cina. L’obiettivoè spingersi oltre i 4 trilioni di RMB (oltre 540 miliardi $), numeri ormai comparabili al GMV di Alibaba (988 miliardi $).

Importante notare che la base utenti è “invecchiata”: la fascia 25-34 anni è oggi la più numerosa su TikTok (circa il 35% degli utenti), segno che non è più solo territorio di adolescenti. Questo è un dato cruciale per i brand ecommerce B2B, perché significa che giovani professionisti e decision maker rientrano sempre più tra gli spettatori di TikTok. Un altro dato impressionante è il tempo di utilizzo: gli utenti trascorrono in media quasi un’ora al giorno (47 minuti) sull’app, il che la rende la piattaforma con il più alto tasso di coinvolgimento quotidiano. Negli USA si arriva a 78 minuti.

Il 51% dei buyer cerca video su YouTube prima di effettuare l’acquisto, per i marketer, questo si traduce in più occasioni per veicolare messaggi e, potenzialmente, convertire utenti in clienti.

Il “modello cinese” di TikTok è quindi già una realtà consolidata: un ecosistema dove intrattenimento, influencer e shopping convivono in un’unica esperienza fluida, al punto che per i consumatori cinesi comprare direttamente dentro l’app è normale quanto navigare su un sito e-commerce.

In Europa e Italia il modello è ancora agli inizi, con sfide significative da superare ma anche enormi opportunità. TikTok sta tentando di replicare il successo cinese lanciando gradualmente TikTok Shop anche in Occidente: dopo il test nel Regno Unito, è in espansione in mercati come Germania, Francia e Italia.

L’idea è creare anche qui un’esperienza di acquisto end-to-end senza uscire dall’app. In Cina il live shopping è un fenomeno culturale di massa, mentre in Italia, nonostante le TV siano affollate di televendite c’è diffidenza nel comprare prodotti durante una diretta social o attraverso video brevi.

I giovanissimi di oggi sono abituati a comprare quasi esclusivamente scoprendo prodotti dai video,TikTok & Co. rendono l’e-commerce più scroll che search.

I social ed Amazon sono l’estensione della TV, TikTok fa leva su qualcosa che Amazon non possiederà probabilmente mai: un coinvolgimento emotivo e virale del pubblico.

L’83% degli utenti di TikTok dichiara che i contenuti visti sulla piattaforma influenzano le proprie decisioni d’acquisto​ e lo sanno bene i brand che trasforma il feed in un nuovo terreno di caccia. Amazon dopo Spark ha introdotto feed di shopping social simili a TikTok (Amazon Inspire) e investito in live streaming sul proprio sito​.

TikTok e Amazon rappresenta lo scontro tra due filosofie: shopping come intrattenimento scoperto per caso scorrendo video, contro shopping come ricerca intenzionale su un catalogo sterminato.

Il successo del social commerce in Cina: dati e numeri da fonti istituzionali

Per capire il fenomeno social commerce, basta guardare la Cina, dove questa fusione tra social e shopping è nata, maturata e sostenuta anche a livello governativo ha numeri (istituzionali) impressionanti: l’84% dei consumatori cinesi ha fatto acquisti tramite piattaforme social nel 2022​ (pari a circa 880 milioni di persone)​.

In altre parole, fare shopping sui social è la norma per la stragrande maggioranza della popolazione online cinese, un fenomeno di massa senza eguali altrove.

Le televendite in diretta (live commerce), come quelle che Wanna Marchi faceva 20 anni fa in Italia, hanno trasformato le abitudini dei consumatori cinesi. I dati pubblici indicano che il live commerce è passato da volumi quasi trascurabili a fine anni 2010 a costituire circa 1/3 di tutto l’e-commerce cinese nel 2023.

Si tratta di un livello di penetrazione impensabile in Occidente, la Cina è la dimostrazione concreta di cosa significhi social commerce su larga scala: influencer celebri che vendono migliaia di pezzi in pochi secondi durante le dirette, piattaforme (come WeChat, Xiaohongshu, Taobao Live, Kuaishou) in cui l’esperienza social e quella d’acquisto sono indistinguibili, e community buying (acquisti di gruppo attraverso app social) che sfruttano la pressione sociale per far lievitare le vendite.

TikTok è sia catalizzatore sia beneficiario di questo boom. L’hashtag virale #TikTokMadeMeBuyIt (“TikTok me l’ha fatto comprare”) ha superato 40 miliardi di visualizzazioni, a riprova di quanti utenti scoprano prodotti e siano spinti all’acquisto dalla piattaforma.

Il governo cinese ha favorito questo ecosistema con zone franche per l’e-commerce e politiche pro-innovazione, per le aziende occidentali, questi dati sono sia affascinanti che inquietanti: evidenziano sia l’enorme potenziale da cogliere che la distanza da colmare.

TikTok può replicare il modello cinese in Europa?

Le opportunità certamente non mancano. TikTok conta ormai oltre 125 milioni di utenti attivi mensili in Europa (su oltre 1 miliardo a livello globale), una base ampia che include moltissimi giovani consumatori.

TikTok conta oltre 125 milioni di utenti attivi mensili in Europa

La concorrenza nel social commerce è, per ora, limitata: Facebook e Instagram hanno provato a spingere lo shopping in-app con risultati tiepidi, mentre piattaforme cinesi emergenti (come Shein o Temu) puntano soprattutto sul prezzo più che sull’aspetto social.

TikTok ha dunque spazio per proporsi come l’apripista del vero social commerce in Europa, forte del suo algoritmo di discovery e della popolarità tra Gen Z e Millennial. In termini di mercato, le previsioni indicano che il social commerce europeo crescerà da circa 74 miliardi di dollari nel 2023 a oltre 230 miliardi entro il 2029​, segno che il terreno è fertile per nuovi modelli di vendita social. Chi saprà capitalizzare questa crescita potrebbe conquistare una fetta importante dell’e-commerce di domani.

Tuttavia, esistono notevoli limiti normativi e culturali che potrebbero frenare la “cinesizzazione” del modello in Europa. Innanzitutto, i consumatori europei hanno abitudini diverse: solo il 26% degli utenti delle piattaforme in Europa utilizza il social commerce, la percentuale più bassa a livello globale​, e appena il 13% degli europei dichiara di aver mai comprato o venduto qualcosa via social media​.

Gli europei usano i social principalmente per comunicare e informarsi, non per fare acquisti, e mostrano minor interesse per format come live shopping o acquisti dagli influencer rispetto alla media mondiale​. Questo “mismatch” culturale significa che TikTok dovrà educare il mercato, non può dare per scontato lo stesso entusiasmo spontaneo visto in Asia.

Non mi soffermo sugli aspetti regolamentari che hanno condotto al ban in USA ed alla sanzione di 348 milioni di Euro in UE per violazioni del GDPR; il contesto normativo implica che TikTok, per espandere il proprio shopping in-app in Europa, dovrà muoversi con cautela e trasparenza: raccolta dati limitata, maggiore moderazione dei contenuti commerciali, adeguamento alle regole sulle recensioni e sui resi dei prodotti. I limiti normativi specifici per l’e-commerce come il diritto di recesso in UE per gli acquisti online e stringenti obblighi di informativa sui prodotti.

TikTok dovrà garantire queste tutele dentro la sua app, altrimenti rischia sanzioni o una perdita di fiducia da parte degli utenti europei più cauti.

In sintesi, replicare il modello cinese in Europa non sarà automatico. Le opportunità per TikTok ci sono – un mercato online enorme ancora relativamente inesplorato dal social commerce, un vuoto di leadership da colmare, l’interesse di brand desiderosi di nuovi canali per i giovani – ma i limiti normativi (DSA, GDPR, leggi consumeristiche) e barriere culturali (minore propensione degli europei allo shopping sui social, forte attaccamento ad Amazon e altri canali tradizionali) rappresentano sfide concrete.

Probabilmente TikTok dovrà adattare il suo approccio: investire in trust & safety, comunicare come protegge i dati (ha già annunciato data center in Europa per localizzare i dati degli utenti​), e forse procedere più gradualmente, puntando inizialmente su categorie merceologiche che meglio si prestano (moda, beauty, low cost) prima di ambire a far concorrenza su tutti i fronti ad Amazon.

L’Europa potrebbe non vedere subito un fenomeno di social commerce totalizzante come in Cina, ma TikTok sta sicuramente gettando le basi per cambiare anche qui il modo in cui scopriamo e acquistiamo prodotti.

TikTok Shop. Alcuni casi di studio europei

TikTok è partita dal Regno Unito, per l’ingresso in Europa e nonostante le cautele iniziali sono già numerosi i case study indipendenti in Europa di brand che hanno sfruttato TikTok Shop con successo.

Nel Regno Unito, stiamo vedendo una crescita costante. Dopo un inizio tentennante nel 2022, nell’ultimo anno i risultati sono migliorati significativamente: il volume di transato su TikTok Shop UK è raddoppiato e oltre 200.000 aziende vi stanno ora partecipando attivamente. Tra queste, molte sono PMI locali e brand indipendenti che trovano su TikTok un canale privilegiato per farsi conoscere dai giovani.

Ad esempio, piccole aziende di moda o artigianato hanno sfruttato challenge virali e partnership con creator per vendere migliaia di prodotti senza un e-commerce tradizionale. Un caso emblematico citato da Reuters è quello di un’influencer britannica nel settore beauty (nickname Nisrin) che, grazie a circa 500 mila follower su TikTok, è riuscita a vendere fino a £10.000 di prodotti in una singola sessione live. Numeri del genere, per una singola persona che fa dirette dalla propria stanza, erano impensabili pochi anni fa e segnalano un cambiamento di paradigma: anche in Europa la gente è disposta ad acquistare in tempo reale ciò che vede consigliare dai creator di cui si fida.

Non solo piccoli business: anche marchi affermati stanno sperimentando. La storica catena britannica Marks & Spencer ha organizzato eventi live su TikTok per promuovere le nuove collezioni, combinando il prestigio del brand con il linguaggio giovane della piattaforma. E la casa editrice Penguin Random House UK ha lanciato sul suo TikTok campagne come #BookTok, riuscendo a spingere bestseller direttamente attraverso consigli di creator (il fenomeno “BookTok” ha fatto impennare le vendite di libri tra i teenager​).

Gymshark è un altro esempio emblematico di brand europeo che ha sfruttato TikTok per vendere online abbigliamento fitness. Partita come startup con budget ridotti in un mercato dominato da giganti come Nike e Adidas, Gymshark ha puntato tutto sui social emergenti per farsi conoscere. La loro strategia su TikTok è stata astuta: collaborare con micro-influencer appassionati di fitness, lanciare challenge virali coinvolgenti (#Gymshark66) e pubblicare contenuti costanti (fino a 40 video al mese). La sfida #Gymshark66 invitava gli utenti a condividere i propri progressi di allenamento in 66 giorni, taggando il brand – un’iniziativa che ha generato milioni di visualizzazioni e una valanga di UGC (User Generated Content). Questo approccio community-driven ha permesso a Gymshark di accumulare rapidamente follower (oggi oltre 5,7 milioni su TikTok) e soprattutto di tradurre l’engagement in vendite. Il risultato? In piena espansione TikTok, il fatturato di Gymshark è balzato del +40% in un anno, raggiungendo 330 milioni di dollari

In pratica, TikTok (insieme ad Instagram) ha trasformato un piccolo e-commerce in un fenomeno globale, dimostrando che creatività e autenticità possono battere budget milionari.

Il caso italiano di Kiko Milano

Passando all’Italia, un case study concreto è offerto da KIKO Milano, noto brand di cosmetica retail, che ha misurato scientificamente l’impatto di TikTok sulle vendite, grazie ad un Marketing Mix Model è riuscuta ad attribuire le performance di vendita ai vari canali, TikTok incluso. I risultati hanno sorpreso anche i più scettici: TikTok rappresentava solo il 6% dell’investimento media di KIKO, ma ha generato l’11,5% delle vendite e-commerce attribuibili al marketing In altri termini, TikTok ha reso quasi il doppio rispetto al budget speso, dimostrando un’efficienza impressionante come canale pubblicitario. Non solo: il 5,7% delle vendite aggiuntive nei negozi fisici (drive-to-store) è stato ricondotto direttamente a campagne TikTok.

Il caso Lidl

Un esempio clamoroso è quello di Lidl: la catena discount tedesca è stato il primo supermercato ad aprire un negozio su TikTok Shop nel Regno Unito, lanciando a febbraio 2025 una vendita flash di confezioni di prodotti ad alto contenuto proteico. Il risultato? Tutti i 3.000 pezzi disponibili sono andati esauriti in appena 18 minuti, L’operazione, accompagnata da un evento live, ha dimostrato che anche un retailer alimentare tradizionale può attivare la fanbase social e creare hype attorno a offerte esclusive sulla piattaforma TikTok. Secondo Kantar, “i retailer stanno già scoprendo che TikTok Shop è un ottimo modo per raggiungere nuovi clienti” e i consumatori europei mostrano un appetito crescente per sperimentare acquisti sul social​. (Fonte: TheGrocer)

Questi esempi mostrano che TikTok Shop e, in generale, il commercio veicolato dai social possono funzionare in Europa in vari settori: dal grocery al beauty, dalla moda all’editoria. La chiave comune di successo sembra essere l’autenticità e l’engagement: le aziende che vincono su TikTok non si limitano a “vendere un prodotto”, ma raccontano una storia, creano un evento o fanno leva su una community. Il pubblico europeo, soprattutto giovane, risponde positivamente quando percepisce contenuti genuini e opportunità esclusive.

Strategie per aziende B2B e B2C per sfruttare TikTok nel 2025

Alla luce di tutto ciò, quali strategie dovrebbero adottare le aziende per cavalcare l’onda di TikTok nel 2025? È importante distinguere tra B2C (business verso consumer finale) e B2B (business verso altre imprese), perché l’approccio ottimale può differire, anche se la piattaforma è la stessa.

Per le aziende B2C, TikTok può diventare un pilastro del marketing e delle vendite, non mi soffermo sulle principale tattiche da utilizzare:

  • Adottare un tono autentico e trend-driven.Ad esempio, mostrando il backstage di produzione di un prodotto o reazioni spontanee del team può rendere il marchio più vicino al pubblico. L’algoritmo For You privilegia i contenuti che generano interazioni rapide, quindi è cruciale catturare l’attenzione nei primi secondi del video con qualcosa di accattivante. Un consiglio è sfruttare suoni e hashtag di tendenza del momento per apparire nei feed pertinenti.
  • Collaborare con influencer e creator locali: L’influencer marketing su TikTok è potentissimo. Creatori anche con follower non enormi ma ben fidelizzati possono spostare le vendite.
  • Sfruttare TikTok Shop e le funzionalità di shopping in-app: Per brand B2C che vendono prodotti di consumo, è consigliabile attivare la vetrina TikTok Shop ove disponibile. Ciò permette di taggare i prodotti nei video e durante le live, creando un percorso d’acquisto immediato per lo user (dal video al carrello in pochi tap);​
  • Investire in inserzioni TikTok e SEO in-app: Formati come gli In-Feed Ads (video sponsorizzati che appaiono nel feed For You) o le Branded Hashtag Challenge possono aiutare a raggiungere audience più vaste. È bene sperimentare con piccole budget per capire cosa risuona.
  • Curare la community e il customer service su TikTok: Non basta postare video virali, occorre anche interagire con gli utenti. Rispondere ai commenti, magari con video-risposta (funzione Q&A), ringraziare pubblicamente i clienti che mostrano i vostri prodotti (magari duettando i loro video) – tutte queste azioni costruiscono una community leale. Alcuni brand hanno aperto account dedicati all’assistenza clienti su TikTok, cavalcando la preferenza dei giovani a comunicare via messaggi brevi e video. Un utente soddisfatto dell’attenzione ricevuta è probabile che torni ad acquistare.

Per le aziende B2B, l’utilizzo di TikTok nel 2025 può sembrare meno immediato, ma in realtà sta emergendo come una frontiera interessante. Ecco alcune strategie specifiche per il B2B:

  • Employer branding e recruiting: TikTok può servire per mostrare il volto umano e innovativo di un’azienda B2B, aiutando ad attirare talenti. Video che mostrano la cultura aziendale, il dietro le quinte di un progetto o i dipendenti in momenti di team building possono migliorare l’immagine dell’azienda presso i giovani professionisti. Un esempio concreto: una società software americana ha riportato di aver ricevuto 7.500 candidature di lavoro grazie a video TikTok mirati in cui presentava in modo divertente i vantaggi di lavorare lì​
  • Educazione e contenuti di valore: I brand B2B possono utilizzare TikTok per condividere pillole di conoscenza, consigli e insight di settore in forma semplificata e accattivante. Ad esempio, una società di cybersecurity potrebbe fare brevi video con tips su come proteggersi dagli attacchi informatici, un’azienda SaaS può creare mini-tutorial su funzionalità utili del proprio software, e così via. Questi contenuti educativi, se presentati con storytelling leggero e magari un tocco di umorismo, possono posizionare l’azienda come thought leader presso un pubblico più ampio. Canva e Adobe hanno un seguitissimo profilo TikTok dove pubblicano trick creativi fatti con Photoshop o Premiere
  • Mostrare casi d’uso e demo in formato breve: Invece di i tradizionali webinar o white paper, un’azienda B2B può mostrare in 60 secondi come il suo prodotto/servizio risolve un problema concreto. Ad esempio, un produttore di macchinari industriali potrebbe fare un TikTok che in modo visuale spiega come si monta un pezzo o quanto tempo si risparmia con la loro soluzione rispetto al metodo tradizionale. Oppure una startup B2B può raccontare in serie di micro-video la propria storia di innovazione, coinvolgendo anche partner e clienti soddisfatti (magari dando loro visibilità come ospiti in video live Q&A). Questo rende più digeribile il valore aggiunto anche di prodotti complessi e crea lead interessati che poi approfondiranno.
  • Sfruttare le nicchie e le community professionali presenti su TikTok: Esistono già hashtag community su TikTok dedicate a temi business (#FinanceTok per la finanza, #MarketingTok, #EngineersOfTikTok, etc.). Un’azienda B2B dovrebbe monitorare queste nicchie e inserirsi in modo pertinente. Ad esempio, una società di servizi cloud potrebbe collaborare con un creator tech popolare su #TechTok per parlare di trend di cloud computing, ottenendo visibilità mirata. Anche campagne pubblicitarie B2B su TikTok stanno emergendo: con strumenti di targeting migliorati, si può mostrare un contenuto sponsor ad esempio ai dipendenti di certe aziende o settori (via targeting per interessi e comportamento).
  • Misurare e sperimentare, senza paura di osare: Il B2B tradizionale è spesso cauto sui social, ma su TikTok premia la sperimentazione. Poiché ancora relativamente poche aziende B2B sono attive sulla piattaforma, chi arriva adesso può beneficiare di minor affollamento e di un effetto sorpresa. Ovviamente occorre definire KPI adatti (es. interazioni, traffico al sito da link in bio, candidature ricevute) e non aspettarsi vendite immediate da un video TikTok. Ma la costruzione di brand awareness e relazioni (es. con decision maker che usano TikTok nel tempo libero) può ripagare nel lungo termine. Un dato interessante: il 15% dei marketer B2B ha iniziato a utilizzare TikTok per la prima volta nel 2024

In conclusione, le strategie TikTok 2025 per le aziende, siano esse B2C o B2B, ruotano attorno a tre concetti: creatività, comunità e conversione. Creatività nel produrre contenuti nativi della piattaforma (via trend, suoni, storytelling breve); costruzione di comunità tramite interazioni, influencer e valore aggiunto; e infine conversione, ossia saper guidare l’entusiasmo generato verso risultati concreti (vendite, lead, candidature) utilizzando le feature di TikTok (shop, link, ecc.) e integrandole nella strategia omnicanale. Chi saprà bilanciare questi elementi potrà sfruttare TikTok come un acceleratore di business nel 2025.

Scrolling is the new shopping

Quale sarà il futuro del social commerce e chi dominerà lo shopping online? Il feed potrebbe diventare la nuova homepage dell’e-commerce ? In questo futuro, Amazon sarebbe costretto a trasformarsi magari in infrastruttura invisibile (fornendo logistica e fulfillment dietro le quinte) mentre la fase di scoperta e decisione d’acquisto avverrebbe altrove, sui social appunto.

E’ incontrovertibile affermare che i social siano una vetrina, dove chi c’è l’ha, più o meno aspira a vendere, perchè appare logico immaginare che tra qualche anno il vero scontro non sarà più tra piattaforme e-commerce vs piattaforme social, perché tutte saranno un po’ entrambe le cose, piuttosto lo scontro sarà tra ecosistemi “chiusi” che offrono dall’ispirazione alla consegna (ad esempio TikTok che si integra a monte con produzione di contenuti e a valle con magazzini propri) e ecosistemi “aperti” dove diverse aziende collaborano (ad esempio Instagram che funge da vetrina e vari retailer evadono gli ordini, o Amazon che funge da magazzino per vendite generate da social esterni).

Il percorso di acquisto diventerà intrattenente quanto il consumo stesso del prodotto.

Vedremo ballare su Amazon ? Per il momento ha stretto una collaborazione in cui è possibile acquistare prodotti Amazon direttamente dall’App di TikTok. (Fonte: TikTok)

TikTok diventerà il nuovo Amazon? È meno probabile che riesca a rimpiazzarlo totalmente, ma potrebbe eroderne quote importanti in alcune categorie (moda e bellezza in primis) e soprattutto cambiare l’aspettativa dei consumatori su come dev’essere l’esperienza di shopping online: più divertente, interattiva e comunitaria. Chi non si adeguerà a questa aspettativa rischierà di perdere terreno.

TikTok ha lanciato recentemente il suo programma FBT (Fulfilled by TikTok) per supportare i venditori nella gestione dell’inventario e nell’elaborazione degli ordini.

“Scrolling is the new shopping” – questa frase può suonare provocatoria oggi, ma potrebbe essere semplicemente la realtà di domani. Prepariamoci dunque a un commercio sempre più conversazionale, creativo e conteso: per chi saprà innovare integrando il meglio di TikTok, Amazon, Facebook e Instagram, le opportunità saranno enormi; per gli altri, il rischio è di restare tagliati fuori da una rivoluzione silenziosa che sta cambiando le nostre abitudini di acquisto. Il dado è tratto: il futuro dello shopping sarà social, che ci piaccia o no, e tutti i player in gioco stanno muovendo le loro pedine per non perdere la partita.

Utenti e PMI pagano gli effetti del DMA

Utenti e PMI pagano gli effetti del DMA

I limiti del Digital Markets Act

Un manager tedesco ha detto sul DMA "...abbiamo costruito i semafori prima di auto e strade".

Il Digital Markets Act (DMA), presentato come il vaccino del mercato digitale, si sta rivelando un boomerang per l’innovazione e la crescita tecnologica in Europa. La retorica della “concorrenza leale” e della “tutela del consumatore” nasconde una serie di potenziali disincentivi che rischiano di soffocare il progresso tecnologico nel continente europeo, favorendo paradossalmente altre regioni come le Americhe e l’Asia.

Costi di Adeguamento: Un Fardello Insopportabile per le Aziende

Il DMA impone oneri economici e burocratici significativi, non solo per i proprietari delle grandi piattaforme digitali (Core Platform System), ma anche per le PMI che oramai dipendono inevitabilmente dalle loro piattaforme. Questi costi, che comprendono investimenti in tecnologia, personale e consulenze legali, pesano enormemente sulle piccole imprese con risorse limitate, specie in Italia, un territorio composto per il 79% da imprese sotto i 9 addetti (Fonte: Istat (2021)).

Il DMA, invece di promuovere la crescita rischia di trasformarsi in un freno all’espansione delle aziende, con il rischio che i costi vengano scaricati sui consumatori.

La complessità delle nuove regole e la necessità di conformarsi a diversi obblighi (interoperabilità, trasparenza, ecc.) generano incertezza e difficoltà operative. Invece di concentrarsi sull’innovazione, le aziende sono costrette a sprecare risorse preziose per uscire dal labirinto normativo.

Interoperabilità, significa in termini pratici API ovvero costi di sviluppo di di integrazioni non accessibili a tutte le PMI.

Innovazione a Rilento: Un Incentivo alla Cautela

Le restrizioni imposte dal DMA, soprattutto per i gatekeeper, limitano l’innovazione in Europa. Le aziende, timorose di violare le nuove norme, sono più caute nel ricercare nuove opportunità e nell’investire in tecnologie emergenti. Questo atteggiamento potrebbe portare a una stagnazione del mercato e a una riduzione della competitività delle aziende europee.

I 7 Gatekeeper individuati sono: Alphabet (Google), Amazon, Apple, Booking (dal 09/2024), ByteDance (TikTok), Meta (Facebook, Instagram, WhatsApp), Microsoft. Sorprenderà l’assenza di molti brand tra cui : Samsung, X (ex Twitter), Expedia, Alibaba e Aliexpress player internazionali esclusi attualmente dalla DMA Act.

I gatekeeper, fatto salvo Booking.com, che hanno sede tutti al di fuori dell’UE svilupperanno e testeranno prima le loro soluzioni all’avanguardia al di fuori del nostro continente e l’eccessiva regolamentazione ritarderà le scelte degli utenti e la qualità dei servizi.

I gatekeeper raccolgono e controllano grandi quantità di dati, utilizzandoli per migliorare i propri servizi e per campagne pubblicitarie mirate.

Il DMA non risolve la questione della proprietà e dell’uso dei dati, potenzialmente lasciando i gatekeeper con un vantaggio competitivo insormontabile.

Fuga di Talenti e Capitali: L’Europa Perde il Treno del Progresso

La combinazione di norme stringenti e costi elevati spinge le aziende tecnologiche a investire in altre regioni, dove il contesto è più favorevole. Questa “fuga di cervelli” e capitali priva l’Europa di risorse fondamentali per l’innovazione e la crescita tecnologica, lasciandola indietro rispetto ad altre aree geografiche, creando un divario sempre più ampio tra l’Europa e il resto del mondo. La paura di incorrere in pesanti sanzioni inevitabilmente scoraggia le aziende ad introdurre nuove tecnologie nel mercato europeo.

Un’Illusione di Equità: I Giganti Diventano Ancora Più Forti

Il DMA paradossalmente rafforza il potere dei gatekeeper, trasformando gli obblighi normativi in un nuovo vantaggio competitivo. Le grandi aziende, con maggiori risorse, sarebbero in grado di gestire più facilmente i costi della conformità, marginalizzando ulteriormente le PMI che faticano a sostenere tali spese.

Invece di promuovere un mercato più equo, il DMA crea una situazione in cui solo i giganti sono in grado di sopravvivere, relegando le aziende più piccole a un ruolo marginale.

Frammentazione del Mercato: Un Ostacolo all’Armonizzazione Digitale

L’applicazione del DMA potrebbe portare a una frammentazione del mercato digitale europeo, con aziende che sviluppano prodotti e servizi specifici per il mercato UE. Questo potrebbe comportare problemi di compatibilità e difficoltà nel commercio con altre regioni.

Il DMA, invece di armonizzare il mercato digitale, potrebbe innescare un processo di balcanizzazione, creando ostacoli al libero flusso di tecnologie e servizi. Le aziende potrebbero decidere di concentrarsi su altri mercati con regole meno complesse, riducendo ulteriormente il potenziale di crescita del mercato digitale europeo.

PMI e utenti pagano il prezzo del DMA

A parte i buoni propositi del regolamento europeo, la possibilità che il trasferimento dei costi di conformità venga sostenuto da aziende e consumatori è realtà. Gli utenti, si trovano a perdere tempo in click inutili di banner volanti e le PMI ad acquistare soluzione per la gestione dei dati, digital analytics ancora imprecise e sviluppare integrazioni tra applicazioni di terze parti costose.

Invece di beneficiare della maggiore concorrenza, i consumatori si troveranno sempre meno servizi gratuiti ed a pagare di più per servizi che non sono necessariamente migliori.

Il DMA, presentato come uno strumento a tutela dei consumatori e delle imprese, si sta rivelando un peso che grava su tutta l’economia europea. Con la sua eccessiva regolamentazione e la mancanza di flessibilità, rischia di trasformarsi in un ostacolo alla crescita tecnologica in Europa.

La retorica della “tutela del consumatore” non può nascondere i gravi rischi che il DMA introduce, favorendo paradossalmente la crescita di altre regioni e lasciando l’Europa indietro nella corsa all’innovazione. Le autorità europee dovranno rivedere il DMA, affrontando le criticità e correggendo le distorsioni, prima che sia troppo tardi.

RePlatforming. 10 motivi per rinnovare la piattaforma e-commerce

RePlatforming. 10 motivi per rinnovare la piattaforma e-commerce

Miglioramento continuo, radicale o disruptive innovation?

Il Sony Walkman , l’Apple Iphone ™ e Amazon Aws ™ sono tre esempi di ciò che i giapponesi chiamano “kaikaku“, ovvero un miglioramento radicale del prodotto che per i 3 brands ha significato l’apertura di nuovi mercati ed un cambio di abitudini dei consumatori.

Sono 3 esempi iconici di innovazione trasformativa nei rispettivi settori.

Il termine “Kaizen (改善)” indica un miglioramento continuo e graduale, “Kaikaku (改革)” un miglioramento radicale, “Kakushin (革新)” quando l’Innovazione dirompente e la trasformazione totale.

Ci sono momenti nella vita di una azienda in cui il cambiamento visto come un processo quotidiano di continui miglioramenti e piccole ottimizzazioni graduali non è più sufficiente.

Tra l’approccio “kaizen” della qualità totale e continua di Toyota ed uno “kakushin” di innovazione dirompente come quello di Tesla (applicata da Elon Musk in tutte le sue startup), il secondo sembra essere più profittevole.

Tesla Profit Margins
Tesla guadagna su ogni auto più di ogni altro suo concorrente grazie al suo approccio produttivo innovativo.

Per chi è già presente nel mercato da tempo, certamente la cultura del miglioramento continuo non potrà essere abbandonata tuttavia non si può guardare con indifferenza ai nuovi player che entrano nel mercato, alla concorrenza globale dei grandi brands, al ruolo dell’innovazione tecnologica, come nel caso di cloud e intelligenza artificiale con la stessa vision dell’anno passato.

Si utilizza spesso il termine “disruptive”, per indicare quella trasformazione completa e totale che conduce l’azienda verso un nuovo un nuovo ciclo di successi e crescita duratura come l’unica possibile; a mio modesto avviso dovrebbe prevalere un approccio ibrido quello chiamato “kaikaku”, un risultato intermedio tra “kaizen” e “kakushin”.

Quando la crescita rallenta e si presentano nuove rivoluzioni tecniche (come l’AI) è obbligatorio pensare se sia opportuna: una ristrutturazione della propria infrastruttura digitale, della propria organizzazione, del customer journey, delle strategie commerciali fin’ora adottate, fino al replatforming.

Il Replatforming

Per replatforming, s’intende il processo di migrazione di un’applicazione, un sito web o un’infrastruttura digitale da una piattaforma tecnologica a un’altra, con l’obiettivo di migliorarne le prestazioni, l’efficienza e l’allineamento con le esigenze di business attuali.

Certamente, è più facile a dirsi che a farsi ma questi tempi richiedono rinnovamenti radicali, coraggiosi e piuttosto frequenti.

Il cambiamento richiede leadership, visione e coinvolgimento di tutti gli attori, anche quelli non protagonisti: l’approccio è top-down e non viceversa.

Ci sono migliaia di siti web e-commerce, nati come appendici di business tradizionali con piattaforme open source, poco budget e risorse limitatissime che funzionano ma che hanno un potenziale inespresso enorme.

Come pure per chi ha fatto investimenti importanti, spesso usa piattaforme software proprietarie ben al di sotto del 50% della loro potenzialità: per tanti motivi tra cui: inesperienza dello staff, mancanza di competenze, formazione inadeguata e/o risorse mal gestite.

Se ci si affida ad un fornitore esperto, il l’ecommerce o il replatforming e-commerce sblocca opportunità di crescita straordinarie e l’innovazione genera nuova domanda.

Quando innovare la propria piattaforma ?

Se almeno 3 di questi 10 problemi affliggono la tua piattaforma e-commerce pensa seriamente al re-platforming.

  1. Prestazioni obsolete, ovvero quando la piattaforma attuale non supporta la crescita del business, non soddisfa le aspettative dei clienti finali e/o è al limite dell’affidabilità;
  2. Funzionalità limitate , quando le funzionalità della piattaforma sono ridotte o troppo limitate per intraprendere nuove opportunità di marketing o iniziative di business in nuovi mercati o paesi. Oppure gli obiettivi aziendali sono cambiati a seguito di un cambio di governance.;
  3. Costi di manutenzione elevati, quando i costi di manutenzione per mantenere e aggiornare la piattaforma attuale sono diventati insostenibili o ingiustificati;
  4. Scalabilità insufficiente, quando il server non gestisce picchi di traffico, i nuovi requisiti di velocità richiesto ad esempio da Google oppure quando la crescita non è più lineare e l’azienda non riesce a superare gli attuali volumi di ordinativi;
  5. Design o esperienza utente obsoleta, quando il design e/o l’esperienza utente non è più in linea con le aspettative dei clienti moderni e/o non rappresenta più il brand;
  6. Integrazione difficile, quando il business richiede l’integrazione con piattaforme di terze parti e/o servizi necessari per il business e questa non si adatta ;
  7. Conformità normativa. Più il peso dell’e-commerce cresce, più gli adempimenti fiscali e legali si fanno più consistenti. Alcune piattaforme costringono non sono adatte per la legislazione italiana devono rispettare per essere conforme alle nuove normative ed allo standard del settore;
  8. Pannello di amministrazione inefficiente. Le dashboard sono fotografie del momento molto importanti, talvolta i dati mostrati non sono personalizzabili oppure in caso di operazioni ripetitive sono estremamente farraginose ;
  9. Sicurezza, ogni sito web custodisce informazioni personali e preferenze di prodotti. Anche un solo episodio di vulnerabilità o un attacco può minare definitivamente la credibilità del sito;
  10. Omni-canalità / multicanalità ridotta, quando l’eCommerce non dialoga con altri sistemi o applicazioni aziendali (es.: il magazzino, il marketing, una app, un punto di vendita fisico)

Le operazioni di migrazioni richiedono dai 2 mesi, nei casi più semplici, ai 12 mesi per quelle più lunghe e complesse.

Il partner governa la complessità con metodo, spesso si è confrontato con problematiche già risolte in precedenza.

Certamente come abbiamo scritto in precedenza, bisogna essere aperti al cambiamento, acquistare, noleggiare o sviluppare ex-novo una nuova piattaforma, e-commerce o non, senza definire preliminarmente i nuovi obiettivi o la strategia rischia di creare un clone tale e quale al precedente.

Il 70% dei processi di digital transformation fallisce a causa di una mancanza di comunicazione a livello organizzativo.

Nei primissimi incontri, si definiscono:

  • quale piattaforma e-commerce sia la più adatta, non esiste una taglia unica per tutti;
  • il team di lavoro e coordinamento lato azienda;
  • il costo della nuova piattaforma, dei costi di manutenzione o licenza, dei tempi, della migrazione, della formazione, dei test prima del go-live
  • gli obiettivi di design, la UI e UX;
  • le nuove funzionalità tra le Must-Have, Should-Have, Could-Have e Would-like-to-have

Negli ultimissimi mesi ho realizzato con il mio team re-platforming complessi per importanti clienti europei, andate live con soddisfazione di tutta la governance, rispettando timing e obiettivi.

Oltre ad aver ridotto onerosi costi di licenza e tempi lunghi di alcune operazioni, dopo 3 mesi in cui lo staff ha preso confidenza con la nuova piattaforma la soddisfazione si legge sul volto.

Brandsplace, marketplace e saldi

Brandsplace, marketplace e saldi

Brandsplace: un canale da utilizzare per smaltire resi e invenduto

Approfondiamo il tema dell’invenduto e dei resi, esplorando le opportunità a disposizione dei brands dopo il periodo dei saldi.

Nel 2021, scrivevo che il D2C avrebbe sostituito B2C: la chiusura dei punti vendita fisici causati dall’emergenza sanitaria, i problemi di liquidità da essa derivanti hanno evidenziato come l’organizzazione dei brands fosse tutto sommato fragile.

Il D2C (DTC, il Direct-to-Consumer) è un modello vincente in trasformazione: conia neologismi, spinge i colossi dell’e-commerce verso l’ibridazione di nuovi modelli di business dove i brand, già leader del commercio internazionale e protagonisti sui social diventano Seller anzichè semplici Vendor.

Ora le tensioni internazionali, congiunturali o strutturali pongono nuovi problemi a cui si aggiunge specie in Europa, una crescente sensibilità verso la sostenibilità ambientale, il re-commerce.

Il fast fashion è sotto accusa, ciò nonostante sono nati nuovi marketplace che lo esaltano.

Le parole chiavi sono: digitalizzazione, sostenibilità e omni-canalità, queste rappresentano la strategia per assicurare una crescita responsabile di un brand, in grando assorbire la sempre più ampia offerta di prodotti, invenduti, resi ed anche usati.

Avere il proprio e-commerce e essere presente contemporaneamente su marketplaces generalisti (es. Amazon, Ebay, Yoox o Zalando ecc…) non è più sufficiente! Per essere efficienti occorre la disponibilità del dato in tempo reale del prodotto su ogni canale e per essere sostenibili occorre presidiare anche i canali C2C, dell’usato e del ricondizionato.

Le soluzioni di gestionale software e-commerce che consiglio sono tutte integrate nativamente con i principali marketplace, consentono di interfacciarsi con altri store online via API, generare feed per comparatori e piattaforme pubblicitarie, come nel caso di Google Shopping e Meta, integrando anche la disponibilità in tempo reale nei singoli punti fisici, per il ritiro immediato (c.d. click-and-collect).

Gestire da un’unica piattaforma i propri prodotti, essere proprietari dei dati di clienti e prospect consente di guidare la creazione di contenuti ad hoc, con immagini e video, gestire recensioni, social media, mantenendo il pieno controllo di ogni parte del funnel (o del flywheel).

I consumatori non distinguono i confini tra i canali, conoscono il retargeting, vorrebbero un’esperienza personalizzata virtuale simile a quello acquisto fisica con i propri dispositivi tecnologici, in modo frictionless.

Il caso VeePee

L’idea di BrandsPlace, il marketplace di Veepee, conosciuto in Italia anche con il nome di Vente Privee e con Privalia, sarà presto imitata da altri ipermercati digitali. L’esperienza è più completa rispetto al Brand Store di Amazon, specie il rapporto con il cliente finale.

BrandsPlace è un marketplace nel marketplace dove i brands possono intervenire autonomamente e rapidamente a supporto della promozione delle vendite, anche in stagione con margini di manovra più ampi.

Inoltre Veepee ha lanciato due iniziative di economia circolare virtuose, uniche nel settore del fashion:

  • Re-cycle: attraverso il quale si permette di rimettere in circolazione gli abiti usati dei propri clienti attraverso un processo che parte dal lavaggio del capo alla foto, in cambio di un buono spesa;
  • Re-turn: un servizio C2C per la gestione dei resi, che consente la rivendita dei prodotti tra gli utenti della piattaforma con uno sconto aggiuntivo, riducendo i flussi logistici e l’impatto ecologico.

Segnalo per completezza anche InShop, il servizio di disponibilità in real-time a sostegno della gestione della rotazione delle scorte di magazzino.

Brandsplace

Nel brandsplace: il brand è al centro della scena, con un marketplace esclusivo all’interno di un altro, dove ha il controllo completo della propria vetrina. E’ possibile :

  1. Presentare le proprie collezioni, sia in-season che out-season;
  2. Gestire autonomamente promozioni e sconti;
  3. Creare un’esperienza di brand personalizzata;
  4. Interagire direttamente con i consumatori;
  5. Aprire e chiudere sales in parallelo nelle varie countries.

Questo modello offre ai brand:

  • Maggiore controllo sull’immagine e sul messaggio del brand;
  • Possibilità di costruire relazioni dirette con i clienti;
  • Accesso ad un pubblico più ampio;
  • Maggiori margini di profitto.

La maggior efficienza e controllo, richiede ai brand un impegno maggiore in termini di gestione della piattaforma e servizio clienti.

La concorrenza all’interno del brandsplace è molto alta, nonostante la presenza di centinaia di brand è comunque limitata rispetto al marketplace tradizionale e generalista, che è rimane più completo: offre varie modalità di spedizione della merce, un sistema di recensioni garantito che aiuta a prendere le decisioni di acquisto, prezzi più competitivi per il consumatore e margini più ridotti per il brand.

Nei brandplace, il fulfillment (il processo di gestione degli ordini dall’acquisizione dell’ordine fino alla consegna al cliente) può essere in house, esternalizzato (come nel caso di Amazon FBA) o in dropshipping.

Quest’ultimo è molto diffuso tra gli intermediari esclusivamente commerciali, perchè consente all’azienda di non avere un proprio magazzino, nè uno stock e gli ordini dei clienti vengono inoltrati direttamente ai fornitori o produttori che spediscono direttamente al cliente finale.

Flash Sales, tutto l’anno

Le flash sales che promettevano forti sconti fino all’80% non sono più concentrate solo in alcuni periodi dell’anno, oltre ai saldi e nel black friday. Ora le vendite lampo ci sono tutte le settimane e sono uno dei tanti strumenti di marketing a disposizione per il brand per gestire l’invenduto. Sconti elevati, disponibilità ridotta su una selezione limitata di prodotti diventeranno un’attività periodica grazie alla comunicazione tra i canali.

Dal SEM all’Artificial Intelligence Marketing

Dal SEM all’Artificial Intelligence Marketing

L’adozione dei sistemi di intelligenza artificiale, chatbot e assistenti virtuali, il passaggio alla ricerca mobile e vocale sta ridisegnando gli scenari del digital marketing.

Secondo Gartner, la multinazionale che si occupa di ricerca e analisi di mercato dagli anni ‘80, il volume tradizionale dei motori di ricerca diminuirà del 25% entro il 2026. Semplificando potremmo dire anche che Google perderà il 25% di ricerche.

Probabilmente ciò non accadrà in maniera così repentina, ma certamente il rischio è reale, se ChatGpt proseguisse con la crescita attuale ed Apple o Microsoft decidessero di integrarlo nei rispettivi dispositivi e sistemi operativi.

Ricordo che ora Google versa 18 miliardi all’anno ad Apple per essere la ricerca predefinita di Iphone (Fonte).

Previsioni catastrofiche a parte, ciò che è certo è che il mondo delle ricerche online sta cambiando, da un modello conversazionale fatto di ricerche web desktop ci si sta dirigendo verso un web mobile, fatto di piccoli schermi, pervaso da assistenti virtuali, chatbot e sistemi di intelligenza artificiale.

A differenza dei metodi di ricerca tradizionali che richiedono la navigazione tra le pagine dei risultati di ricerca, ChatGPT e le altre tecnologie simili di intelligenza artificiale forniscono risposte dirette, conversazionali, informazioni rapide ed accurate in modo intuitivo.

Già ora ciò sta avvenendo grazie alla crescente popolarità di ChatGpt ed alla veloce adozione da parte di oltre 100 milioni utenti al mese.

Sono certo che nei prossimi mesi vedremo spoiler su vere e presunte killer application che promettono un futuro utopico per alcuni e distopico per altri.

Con il marketing di ricerca che perderà quote di mercato a favore di agenti virtuali, le aziende e i siti web dovranno ripensare le loro strategie di marketing e adattarsi a queste dinamiche mutevoli, suggerendo un pivot verso l’integrazione dell’intelligenza artificiale nelle loro attività.

Il web non solo pensato a come appare nei risultati di ricerca tradizionali, ma anche nelle risposte fornite da chatbot AI e agenti virtuali.

Il web dovrà incorporare nei loro contenuti parole chiave a coda lunga e domande che assomigliano a query vocali, del linguaggio naturale, per allinearsi al modo in cui le persone utilizzano sempre più la ricerca vocale integrandola con quella locale.

Questo cambiamento che è già in atto porterà a significative modifiche nelle strategie di Search Engine Marketing, sia a pagamento che organico.

“Le aziende dovranno concentrarsi su qualità ed autenticità“, ha affermato Alan Antin, Vice President Analyst di Gartner, “I contenuti dovrebbero continuare a dimostrare elementi di competenza, esperienza, autorevolezza e affidabilità”.

Alan Antin, Vice President Analyst di Gartner

Si passerà dalla SEO all’AIO, dal SEM all’AIM. Dalla Search Engine Optimization e Marketing alla Artificial Intelligence Optimization e Marketing.

Stare al passo con le nuove tendenze tecnologiche significherà perfezionare le strategie SEO per soddisfare non solo i motori di ricerca tradizionali, ma anche il modo in cui è possibile accedere ai contenuti attraverso chatbot AI e voci virtuali, garantendo alle aziende di rimanere competitive in un panorama digitale in rapidissima evoluzione.

L’aumento degli strumenti basati sull’IA generativa sta sollevando preoccupazioni sulle neutralità dei risultati, l’aumento dei costi per gli inserzionisti e gli investimenti per le imprese che dovranno affrontare per allinearsi a queste tendenze emergenti.

Google ha accelerato i programmi di integrazione dell’AI generativa nella SERP con la Search Generative Experience (SGE) e a mio avviso se non sarà obbligata ad adottarla prima, probabilmente ci vorranno ancora dai 3 ai 5 anni prima di vederla sui nostri schermi.

Se la ricerca online così come la conosciamo, fatta principalmente di query informative composte di keywords piuttosto che di thread di chat sarà di così grande portata, come si riuscirà a colmare quel gap di traffico ?

Meglio iniziare a porsi la domanda ora avvicinandosi al web 3.0, a chatbot e agenti virtuali; incominciando magari chiedendo a ChatGPT, Gemini, Claude, CoPilot & friends, cosa sa della nostra azienda o di noi.

Iniziando a costruire ora un percorso consapevole di brand reputation, riusciremo ad intervenire in tempo. Già perché la reputazione online così come le competenze, si costruiscono con il tempo, ma il dataset di informazioni della tecnologia dei prossimi anni è anche quello di oggi.

La notizia positiva è che quando qualcuno arriverà sul proprio sito web sarà più probabile che sia informato e pronto a impegnarsi in qualche modo.

L’AI diventerà sempre più pervasiva, vi sono già tecnologie wearable che andranno “pinzate” sui vestiti con una fotocamera in grado di vedere tutto quello che fai e microfoni per ascoltare. L’utente di questo dispositivo avrà un auricolare praticamente sempre nell’orecchio e da ultimo ci sarà un mini dispositivo olografico che proietterà un display sulla tua mano, in modo da permetterti di interagire con delle gesture per fargli fare altre cose fantasmagoriche.

TikTok sta testando sistemi per riconoscere gli oggetti all’interno dei video dei creators per associarli a schede di prodotto con prezzo, disponibilità e/o alternative. (Fonte)

Entro lo stesso anno, Gartner profetizza che oltre l’80% delle aziende utilizzerà API o modelli di IA generativa e li distribuirà nelle applicazioni in ambienti di produzione. L’IA generativa secondo la società di consulenza americana sta diventando una priorità per i C-manager in tutti i settori.

Noi siamo pronti alla sfida !

Digital twin e-commerce

Digital twin e-commerce

Dal bit all’atomo

Il digital twin si riferisce a un programma informatico che, basandosi su dati raccolti da un sistema reale, è in grado di rappresentare in modo sintetico ma accurato il corrispondente gemello fisico.

Per calarci subito nella realtà odierna, per ogni auto prodotta da Tesla esiste un gemello digitale in fabbrica; i dati raccolti dai sensori presenti sull’autovetture vengo trasmessi alla casa madre per essere analizzati da algoritmi di intelligenza artificiale e correggere eventuali malfunzionamenti strutturali.

Digital Twin Tesla

Il termine “Digital Twin” viene attribuita Michael Grieves, ricercatore e professore presso l’Università del Michigan che lo utilizzo nel 2011 per intendere repliche digitali di sistemi fisici molto dettagliati, “…dal livello micro atomico al livello macro geometrico”.

Questa rappresentazione avviene attraverso visualizzazioni che utilizzano modelli tridimensionali, grafici, curve e cruscotti informativi, sensori (IOT) che in tempo reale lo aggiornano.

Il digital twin viene utilizzato per prevedere malfunzionamenti, migliorare il modello, renderlo sostenibile, oltre a ridurre tempi e i costi. La monitorizzazione in tempo reale ti consente di analizzare e simulare l’oggetto fisico o il processo in un ambiente virtuale.

I Digital Twin sono l’evoluzione di un modello BIM, perché i cloni digitali sono dinamici vengono alimentati da ulteriori fonti di dati per essere funzionali.

I modelli digitali vengono oramai utilizzati in tutti gli ambiti, dall’ingegneria alla sanità, dall’energia alle smart city, dall’edilizia al retail, la riproduzione di un modello fisico ha consentito di valutare da un punto di vista differente l’impatto nella realtà, spesso ha cambiato l’idea stessa del prodotto.

Il Comune di Bologna ha investito 7 milioni di euro per sviluppare un gemello digitale della città, un modello virtuale, una piattaforma web che raccoglie valorizzare anche l’interazione privata per ottenere benefici pubblici, analizza dati sulla città fisica al fine di renderla pronta ad affrontare crisi e nuove esigenze.

Questo progetto innovativo, realizzato in collaborazione con l’Università di Bologna e la Fondazione Bruno Kessler, posiziona Bologna come un pioniere in Italia e segue l’esempio di città internazionali come Zurigo e Singapore.

Il gemello digitale rappresenta una scommessa per sistemi complessi come una città, consentendo il monitoraggio e l’interazione in tempo reale con l’ambiente fisico tramite l’Internet delle cose (IoT) e l’elaborazione dei dati.

Digital twin e digital marketing

Uno studio di Atos Italia e The European House – Ambrosetti ha quantificato in 12 miliardi di euro il volume d’affari che i Digital Twins potrebbero generare solo in Italia, consentendo di abbattere le emissioni del 7% rispetto ai valori del 2021. Ne è convinta anche ABB, la personalizzazione dell’esperienza di vendita sarà uno dei trend che rivoluzionerà la logistica nei prossimi anni.

L’incontro di tecnologie come la prototipazione rapida grazie alle stampanti 3D, esperienze di formazione in 3D interattive o in realtà aumentata o virtuale (AR e VR), il Metaverso, l’intelligenza artificiale lo hanno consacrato come un megatrend dell’innovazione del prossimo decennio.

  • Abbiamo già parlato di 3D nei siti di e-commerce, di showroom o camerini virtuali in VR, i rivenditori possono utilizzare i gemelli digitali per aumentare la conversione.
  • Immagini di marketing fotorealistiche – per virtualizzare le pipeline di creazione di contenuti di marketing.
  • Camerini prova virtuali.
  • Showroom virtuali.

Il clone digitale, infatti, consente ai rivenditori di modellare asset, magazzini, flussi logistici e di materiali, posizioni di inventario, persone e processi. I dati di acquisto dei clienti, ad esempio, possono aiutare le aziende a fare migliori previsioni sul comportamento dei consumatori e aiutarle a sviluppare una strategia personalizzata all’individuo.


Secondo le previsioni di McKinsey, dal “semplice” gemello digitale di un singolo asset la tecnologia si sta evolvendo verso modelli digitali sempre più complessi e connessi, in cui ogni asset, processo e persona all’interno dell’impresa, o ad essa collegata, avrà una sua replica virtuale.

I Digital Twin sono infatti visti come il “motore” di un’altra tecnologia che ha il potenziale di essere un game changer per l’industria: il metaverso aziendale, un ambiente digitale e spesso immersivo che riproduce e collega ogni aspetto di un’organizzazione per ottimizzare le esperienze e il processo decisionale.

Si tratta, è bene specificarlo, di una tecnologia che non ha ancora raggiunto la piena maturità. Per la piena realizzazione del Metaverso occorrerà lavorare e fare chiarezza su alcuni punti fondamentali: il miglioramento della user experience all’interno dei mondi virtuali, in termini ad esempio di qualità grafica, fluidità dei movimenti e modalità di comunicazione e interazione tra gli utenti; la capacità di popolare questi mondi; la tecnologia e, soprattutto, l’interoperabilità tra mondi virtuali con la definizione di standard condivisi.
Tuttavia, già diverse aziende hanno iniziato a implementare progetti di metaverso industriale, riscontrando risultati superiori alle aspettative in termini di riduzione delle spese di

Operazioni – I gemelli digitali dei negozi possono aiutare nello sviluppo di applicazioni per migliorare l’efficienza operativa, dal checkout autonomo alla navigazione intelligente in-store.
Nello specifico ramo dello shopping interattivo di lusso, che completano le esperienze premium in-store, questi sono i principali casi d’uso dei digital twins:
Quando il modello in bit è pronto, attraverso vari tipi di macchine (per esempio stampanti tridimensionali e robot) si convertono i bit in atomi e si ottiene il prodotto.